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LA GECOM FRA LA RIMONTA DI CENTO ED IL...TAMBURO DI SCARONE

News inserita il 30-01-2015

Prova di carattere nell'andata di coppa, in salita le quotazioni di Paci e Ondo Mengue. Domenica, contro Monsummano, ritorno a Siena di una vecchia conoscenza.

 

Di una notte come quella vissuta a Cento se ne sentiva proprio il bisogno. La strada per arrivare alle finali di Rimini rimane ancora lunga, ha ragione Matteo Mecacci e le sue non sono le solite frasi di circostanza, ma l’esultanza e gli abbracci di fine partita la dicono lunga sugli effetti che questa vittoria, ottenuta con una grande rimonta sul campo della capolista del temutissimo girone B, può produrre in tutto l’ambiente Mens Sana. Fatte salve tutte le giustissime considerazioni sulle brutture dei primi 25’, nella prepotente rimonta del PalaBenedetto si notano progressi (anche e soprattutto cestistici) lontani anni luce dai pur vittoriosi recuperi compiuti in passato, per esempio, a Piombino e Pavia: il peso specifico delle giocate che il talento di Parente e Vico può costruire fuori dal seminato è indiscutibile, ma attorno a questo valore aggiunto (che pian pianino inizia ad espandersi pure nella metà campo difensiva, componente imprescindibile d’ora in poi) stanno sbocciando elementi maggiormente di sistema che si chiamano Ondo Mengue e Paci, il cui apporto diventa determinante se si allentano (può succedere) i bulloni della linea gotica formata da Ranuzzi e Pignatti, oppure quando a Chiacig capita di non fare canestro neppure da mezzo metro. Appuntamento a mercoledì prossimo per saperne di più, in proiezione coppa Italia. Si riparte praticamente da zero a zero, e questo deve far tenere le antenne ben sintonizzate (anche perché la Tramec rimane un osso duro), ma la sensazione di avere a che fare con una squadra ed una panchina che parlano la stessa lingua cresce di settimana in settimana, una sensazione assai lontana dagli scollamenti, dai distinguo e dalle derive spifferati da “chi sa” subito dopo l’harakiri empolese.  

Domenica pomeriggio ritroviamo un vecchio compagno d’avventure, buone o cattive non è questa la sede per ragionarci sopra, che alla tenera età di 39 anni e 11 mesi passa da Siena con addosso la maglia di Monsummano. A German Scarone, che per la Mens Sana fu il primo simbolo del potere d’acquisto sprigionatosi con l’avvento dello sponsor bancario dopo anni di esistenza, dignitosissima, alle spalle di chi vinceva scudetti e coppe (per la cronaca, il secondo di quei simboli fu un certo Roberto Chiacig…), sono legati aneddoti piuttosto che ricordi sportivi: memorabile una sua apparizione in curva nord durante un prepartita, strappando di mano la mazza del tamburo ad uno dei Commandos per mettersi a ritmare un paio di cori (ringrazio “Ste” Betti e “Max” Cinci per aver recuperato la foto d’archivio che testimonia quanto sopra ed avermene permesso l’utilizzo, ndr), un po’ meno conosciuta ma divertente la trasferta internazionale nel “sobborgo” di Ra’ananna, coi giornalisti israeliani che, storpiandone involontariamente il cognome, per due giorni lo chiamarono “Mascarpone” provocando ilarità generale nel gruppo biancoverde. Del suo passaggio cestistico, purtroppo, è rimasto ben poco. Due gravi infortuni, prima la caviglia poi il ginocchio, lo tolsero di mezzo spesso e volentieri, facendolo mancare all’appello (e facendo storcere la bocca a molti) pure nella notte della Coppa Saporta a Lione. Che poi abbia contribuito, German Scarone, al crac della Mens Sana Basket per colpa di quei premi assicurativi non ancora riscossi, è una boutade che avremmo volentieri fatto a meno di sentire, in quel freddo ma al tempo stesso caldissimo pomeriggio di quasi un anno fa. Saluti, gaucho!

Non mi intendo di aste fallimentari (non mi intendo di tantissime cose, è bene essere onesti…), quindi non so bene come ci si debba comportare di fronte alla richiesta di quasi sessantamila euro avanzata dal curatore fallimentare per l’acquisto dei trofei che la defunta, anzi assassinata, Mens Sana Basket aveva conquistato sul campo negli ultimi tre lustri. Sperando, come mi dicono, che mandare deserti i primi appuntamenti davanti al giudice sia la giusta strada per abbassare pretese onestamente insostenibili, l’idea portata avanti dalla tifoseria (Comitato e Brigata) di contribuire parzialmente all’operazione ha il suo bel perché e merita sostegno. Sul piano emozionale e del vissuto comune, quei trofei indiscutibilmente ci appartengono ed è bene provare a riportarli a casa (così come sarebbe bene iniziare a pensare una strategia che permetta di farsi riassegnare i titoli: altrove, a qualcuno è riuscito), sul fatto che oltre ad aver già pagato a caro prezzo, sulla pelle, la traumatica fine di una grande passione si debba anche pagare di tasca per riparare una minima parte delle voragini create da altri, mi porto dentro una matassa di sentimenti contrastanti che spero la chiusura dell’indagine “Time Out” riuscirà a sbrogliare in maniera definitiva. A proposito, a che punto è arrivata questa indagine?

Matteo Tasso

 

 

 

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