LA DONNA, DAL LAVATOIO ALLA LAVATRICE: UN PASSAGGIO ESISTENZIALE

News inserita il 30-03-2017 - Ok Siena

In pantaloni o gonna, tra diritti che stentano ad affermarsi

Uno studio condotto da un gruppo di studiosi del Regno Unito nel 2013, e poi riportato anche nella Repubblica, ha messo in evidenza che le donne, soprattutto se sotto pressione, reagiscono meglio e riescono ad affrontare più impegni contemporaneamente, insomma sono “multitasking”.

E quando sono cominciati questi passi in avanti delle donne nel “mondo”?

E se questo primo “passo”, chiamiamolo così, fosse temporalmente stabilito quando dal lavatoio è arrivata la lavatrice?

Siamo nel periodo di maggiore crescita economica del Paese, gli anni ’60, quelli delle macchine belle, sportive, dei vestiti firmati, quelli dello scandalo del film “La dolce vita” di Fellini in cui una Anita prorompente (troppo? Almeno era tutto naturale), chiamava il suo amore nella fontana di Trevi, camminando sinuosamente, con il suo lunghissimo, attillatissimo vestito nero, presagio di sventure.

Ecco, proprio in quegli anni, si spengeva “l’angelo del focolare”, con riscontri positivi e negativi. Nasceva un nuovo tipo di donna, quella che stava conoscendo gli “elettrodomestici bianchi” come la lavatrice, la lavapiatti.

Questa nuova tecnologia consentiva alla donna di sbrigare le faccende domestiche più velocemente e le permetteva quindi di avere più tempo a disposizione per se stessa, ma non solo, la portava ad uscire di casa,  ad avere un lavoro, un salario.

La donna stava conoscendo una dimensione a lei completamente nuova e sconosciuta, quella esterna alle mura di casa.

Queste erano la donna che cominciava a lavorare nei negozi, nelle aziende e  che piano piano si costruiva una “vita sociale” che andava oltre lo spazio domestico dove per troppo tempo era stata relegata.

Allo stesso tempo, proprio in questo periodo, c’erano anche altre donne che intendevano, a ragione, e con tutte le loro forze, entrare a far parte della vita civile e politica del Paese, lottavano per avere un’istruzione pari all’uomo, lottavano, pensate, per avere nelle università un bagno per le donne, perché era previsto solo quello per gli uomini (e questo succedeva anche all’Università degli Studi di Siena).

La domanda che oggi mi viene in mente, e che forse anche molti di voi vi sarete chiesti, è la seguente: “la donna in blue jeans, oramai si è affermata. Ma la donna che lavora, che desidera avere un figlio, portare avanti una gravidanza senza avere problemi di lavoro, senza rischiare di perdere il lavoro, in Italia, è “una concreta realtà” o una “pura utopia”?

E poi, la donna che desidera avere figli, deve rinunciare ad de libitum alla sua carriera? Perché non ci sono asili nido a prezzi “compatibili con gli stipendi”?

Perché lasciare che il Bel Paese torni ancora una volta indietro?

Nelle “grandi stanze”, quali sono gli argomenti di discussione, quelli che, teoricamente, dovrebbero contribuire a risolvere i problemi?

E poi, noi tutti come cittadini, abbiamo il diritto di chiedere spiegazioni in merito a tutti i livelli di governo, al fine di avere una visione chiara.

 A questo punto, come lo concludo questo articolo? Con una bellissima massima che dice: “ai posteri l’ardua sentenza?” E perché ai posteri dovrei lasciare la possibilità di decidere del mio presente?

Sostenere la donna è sostenere la famiglia, il primo nucleo di governo esistente; dall’unione di tante famiglie nasce lo Stato, peraltro il nostro è pure denominato “sociale”. “Welfare State”non è uno slogan, ha una base giuridica ben precisa.

Io sinceramente non so se la donna è multitasking o meno e mi rifiuto anche di definirla come un telecomando, so che è un genere, non una specie e che, al pari dell’uomo, ha diritto a “non vedersi concessi” dei diritti che per natura sono stati dati agli uomini senza distinzione alcuna.

Chiara Lenzini

 

 

 

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