L'esempio è Treviso, tornata in A ripartendo dalla Promozione. Solo che a Siena...
La squadra è competitiva e il pubblico è da record, il resto però è tutto da ricostruire, con idee nuove, progettualità e pazienza.
Il risveglio cestistico della Mens Sana nel profondo dei Dilettanti è stato più che positivo, con due partite vinte senza affanni e con un seguito mai visto prima (né in casa, né in trasferta) sulle tribune di un campionato di Promozione toscana. Un’iniezione di fiducia per la parte squisitamente sportiva di questa nuova avventura, oltre ad una risposta che non lascia spazio a distinguo sull’affezione della tifoseria alla causa: testimonianza, insomma, di quanto peso specifico porti in dote l’ambiente biancoverde al movimento cestistico senese e, probabilmente, non solo a quello.
Meglio della Mens Sana, in Promozione, è riuscito a fare solo l’Universo Treviso quando ripartì dal campionato regionale veneto (era il 2012), all’indomani del disimpegno dal basket della famiglia Benetton. Per la prima partita andarono a tifarlo in mille sulle tribune del “Natatorio” (l’impianto dell’approdo in serie A sul finire degli anni Settanta: un po’ come se la Mens Sana, oggi, tornasse al Dodecaedro), una spinta emotiva che dette il là alla vittoria del campionato e proseguì con una veloce risalita ai piani nobili: nel 2013 Treviso otteneva la wild card per disputare la B, nel 2014 acquistava il titolo di Corato per fare l’A2 Silver, nella primavera del 2019 ha centrato la promozione in A, sabato scorso ha vinto al PalaVerde (5344 spettatori, sold out) il derby contro la Reyer campione d’Italia. Similitudini tra Siena e Treviso? Nessuna, o quasi. Certo si è ripartiti entrambi dalla Promozione (altrove si sono agganciati alla B, ma qui abbiamo già dato, oppure alla C, a Bologna sponda Fortitudo invece si erano inizialmente sgretolati in società differenti fra loro), certo i numeri in tribuna sono quelli ma tutto il resto è roba che non ci appartiene.
Se a qualcuno fosse venuta, in buona fede, voglia di sognare una replica in salsa mensanina di quanto appena raccontato, è bene scendere subito dalle nuvole e darsi uno schiaffo in faccia, decidete voi se un buffetto o un colpo da knock out. Fatto salvo l’azionariato popolare, che dalle parti di viale Sclavo negli ultimi anni è divenuto la stampella di soccorso per tutto e tutti (e che quest’anno può essere identificabile nella campagna di fidelizzazione #soloperlamaglia: quasi 530 tessere staccate in meno di un mese), il resto della storia nasce con presupposti diversi: Treviso ripartì nel 2012 col traino emozionale di una stagione di basket spesa fra la serie A e l’Eurocup (ciò che Siena ha visto affievolirsi nel lustro trascorso fra il “gira ed esce” di Matt Janning e la gestione-Macchi), avendo alle spalle un main sponsor (De Longhi) dichiarato, presentato ed inequivocabile, il supporto di un nascente consorzio di 18 aziende che in pochi mesi erano già diventate 50 (oggi sono 146, se i dati sul portale universotreviso.com sono aggiornati), l’appoggio delle istituzioni locali (si impegnarono il primo cittadino, il presidente della provincia, anche il governatore della regione), un settore giovanile che ebbe la forza di evitare il saccheggio di alcuni fra i suoi migliori prospetti da parte delle società limitrofe, un impianto di allenamento e gioco che aveva costi abbordabili.
Insomma bene i due trentelli che Sprugnoli e compagni hanno rifilato in campo, sensazionale il tifo sugli spalti, ma su tutto il resto Riccardo Caliani e Pierfrancesco Binella hanno appena iniziato ad operare ed il loro si annuncia un lavoro lungo, faticoso e complesso. Perché stavolta davvero si è ripartiti bonificando le macerie e perché, è inutile girarci troppo intorno, alla Siena del 2019 (anzi alla Mens Sana del 2019, mai scordarsi delle tante sfaccettature cittadine sotto canestro) manca molto di ciò che la Treviso del 2012 poteva mettere sul piatto della bilancia.
Matteo Tasso