PAOLO BETTI: “È UNA MENS SANA CON GRANDI MARGINI DI CRESCITA”

News inserita il 09-11-2023 - Mens sana Basket

Il coach biancoverde si racconta: “A Castelfiorentino ho vissuto anni meravigliosi, ma alla Mens Sana non puoi dire di no”

L’Abc nel sangue, la Mens Sana nella testa e, da qualche tempo, anche nel cuore. Divenuto coach biancoverde nella scorsa estate, Paolo Betti si racconta a www.oksiena.it nella settimana in cui i suoi sono costretti al pit stop agonistico dal turno di sosta che un girone (il B) a numero dispari di partecipanti impone, una dopo l’altra, alle formazioni della serie C.
Nasce a Castelfiorentino la sua avventura nel basket e a Castelfiorentino trascorre per almeno tre decenni, in quel palazzetto che non a caso porta il suo stesso cognome: “Nedo Betti, mio padre, fondò l’Abc nel 1966 – racconta l’allenatore mensanino -, assieme ad altri due-tre amici che poi sono diventati dirigenti storici della società. Io nasco nel 1982, quando il club era in attività ormai da tempo e il basket era diventato un affare di famiglia: ho iniziato a giocare quando avevo 7 anni, ho vissuto gli anni d’oro della serie B, a casa Betti si trascorrevano le domeniche girando i palazzetti di tutta la Toscana, mi ricordo di aver seguito la squadra anche in trasferte più lontane, come Perugia o Umbertide, che in quegli anni erano inserite nello stesso campionato”.


Alessandro Magro, suo amico sin dall'infanzia e castellano pure lui, racconta di essere stato trascinato in questo mondo proprio dalla famiglia Betti. Conferma?
“Da bambino la pallacanestro non era il primo dei suoi interessi, confermo. Ricordo i suoi genitori che, durante una partita, parlavano con i miei e allargavano le braccia sconsolati vedendolo per niente preso da cosa stava succedendo in campo. La mamma, con un po’ di rammarico, aggiunse anche che suo figlio non avrebbe mai avuto alcun interesse verso il basket: la storia per fortuna ha detto altro, se pensiamo cosa ha fatto in questi anni e dove è adesso Alessandro”.
Nelle giovanili dell’Abc, Betti era il playmaker titolare e Magro la sua riserva…
“Eravamo un bel gruppo, siamo arrivati un paio di volte all’Interzona per accedere alle finali nazionali, c’erano giocatori che poi per diverse stagioni hanno disputato la B anche altrove, come ad esempio Manetti. Ricordo che ci scontravamo spesso con la Mens Sana, ho conosciuto in quegli anni Martino Galasso, col quale sono rimasto sempre in collegamento ed è stata una bella sorpresa trovare qui, oggi, suo fratello Arcangelo”.
Allora è vero che il playmaker ha già le stimmate del coach?
“Ho smesso con il basket giocato a 28 anni, ero arrivato in B2 trovando un po’ di spazio quando il titolare doveva rifiatare e sopperendo ai limiti fisici con un po’ di capacità di playmaking: onestamente, però, il livello era molto alto, superiore alle mie qualità. Avevo già dentro, questo è vero, la passione verso lo studio del gioco, prendevo appunti su come gestire determinate situazioni in partita, in parte mi sono portato dietro le esperienze avute con un coach di lungo corso come Giulio Cadeo, o con professionisti del calibro di Alessio Marchini, oggi assistente a Montecatini in B Nazionale, e Roberto Ferrandi, attualmente nel settore giovanile di Brescia”.
È stato per cinque anni capo allenatore dell’Abc. Ricordi e sensazioni?
“Intanto la volontà di dimostrare sempre le mie qualità di allenatore, indipendentemente dal fatto di essere il figlio di Nedo Betti e di lavorare nella società del posto dove sono nato e cresciuto. Ho avuto la fortuna di allenare un gruppo spettacolare, unito, nel quale facevo fatica a mantenere le distanze che normalmente devono esserci tra allenatore e giocatori: penso ai vari Scali, Pucci, Terrosi, Corbinelli, Delli Carri, ragazzi con i quali ho vissuto annate meravigliose, siamo prima arrivati a un soffio dalla finale per la promozione, eliminati da Agliana con un tiro rocambolesco da tre punti a fil di sirena, e poi l'anno dopo abbiamo tenuto testa a una squadra fortissima come era Chiusi, che quell’anno battemmo di oltre 20 punti prima di essere bloccati, tutti quanti, dal Covid. Quando siamo ripartiti, la società ha scelto di puntare su una squadra fatta tutta di giovani, che comunque si è qualificata alla seconda fase”.
A proposito di giovani, ispirarsi al lavoro che da sempre l’Abc effettua sulla propria linea verde è la strada da seguire anche per la nuova Mens Sana?
“Lo prendo come un complimento, da castellano mi fa anche un po’ effetto sentir dire certe cose considerata la tradizione della Mens Sana. Creare giocatori giovani di buon livello, lanciarne alcuni in prima squadra, può fare la differenza o comunque garantirti il futuro, questo è abbastanza ovvio: all’Abc abbiamo fatto un campionato di serie C con dodici giocatori tutti di Castelfiorentino, un primato in Toscana ma credo anche a livello nazionale. Detto questo, comunque, Siena e la Mens Sana rappresentano un contesto, un mondo diverso”.
Si spieghi meglio…
“È vero, l’Abc in questo momento milita nella categoria superiore alla Mens Sana, ma qui ci sono un seguito, un interesse, un’attenzione quotidiani che altrove non trovano paragoni credibili. Io che non vivo Siena tutti i giorni sono impressionato soprattutto dalla partecipazione di tifo che c’è alle partite, in casa e anche in trasferta, ma le componenti che rendono la Mens Sana unica sono anche altre: penso all’interesse quotidiano della gente, al seguito che la squadra ha sui giornali, in tv, in radio, sui siti internet, ai tanti post dei gruppi facebook. Altrove tutto questo è impensabile e, sono sincero e lo dico a discapito di me stesso, per la passione che tutta questa gente mette nel seguire la squadra, per la voglia e la fame che c’è di tornare a respirare il grande basket, sarebbe bello e giusto che arrivasse uno sponsor in grado di riportare il prima possibile la Mens Sana tra i professionisti”.
La chiamata della Mens Sana le ha imposto una piccola-grande scelta di vita?
“Devo ringraziare la mia famiglia, soprattutto mia moglie, per aver assecondato questa mia scelta, resa meno complessa dal fatto di avere un lavoro nel quale riesco a gestire gli orari degli spostamenti da Castelfiorentino a Siena. Non credo che avrei accettato un’altra serie C lontano da casa se non fosse stata la Mens Sana: alla Mens Sana non puoi dire di no, è stata una scelta che a 41 anni mi sono sentito in dovere di fare anche per farmi conoscere al di fuori dell’ambiente cestistico nel quale ho sempre vissuto, così ho detto subito sì a Riccardo Caliani quando mi ha contattato. Pensarci su, o addirittura rifiutare, sono convinto che mi avrebbe nel tempo portato grandi rimpianti”.
Quanti margini di crescita ha questa Mens Sana giovanissima che avete costruito?
“Molti e molto grandi. La squadra è nuova, come del resto è nuovo l’allenatore: anche per me, come per i giocatori, ci sono stati e ci sono situazioni e concetti nuovi coi quali avere a che fare, in allenamento e in partita. È un processo che va avanti e che spero ci porti a crescere ulteriormente col passare del tempo”.
Facciamo l’esempio di Puccioni e Marrucci, che sono considerati da tutto l’ambiente come punti di riferimento, ma che in realtà hanno appena 23 anni…
“Puccioni ha tantissimi margini di miglioramento, lo scorso anno ha vinto il campionato a Cecina ma in una squadra con tanti giocatori di livello, l’anno precedente a Montecatini in un contesto ancora più competitivo aveva giocato pochissimo. Marrucci ha alle spalle un solo campionato di C Gold a La Spezia, qui per qualche partita si è messo a disposizione della squadra per fare anche il play, ruolo che non è il suo ma che può sviluppare, lo stesso Brambilla è un ragazzo giovane che deve fare esperienza. Il più esperto di campionati di un certo livello, alla resa dei conti, è Tognazzi, oltre a Iozzi che in termini anagrafici è il giocatore meno giovane. Insomma i margini di miglioramento sono grandi per tutti”.
Si parla tanto e c’è tanto affetto verso tutti questi ragazzi, come si faceva ai tempi in cui la maglia della Mens Sana la vestivano grandi campioni professionisti. Non c’è il rischio di un corto circuito?
“Mi ha fatto un enorme piacere sentir dire dai tifosi, quando li abbiamo incontrati alla loro festa, che questa squadra ha creato grande entusiasmo e che ha portato tanta gente a fare l’abbonamento: significa aver trasmesso all’ambiente la volontà di dare il massimo, in ogni circostanza, un riconoscimento importante per tutti. Certo il dietro le quinte è tutto meno che facile e bisogna avere un giusto equilibrio nel rapportarsi a ragazzi che di professione non fanno il cestista: penso al mese di settembre in cui Iozzi, Cucini e Sabia arrivavano in palestra dopo una durissima giornata di lavoro in campagna, oppure a cosa è il giovedì in queste settimane di allontanamento dal PalaEstra, con allenamenti che la sera prima terminano alle 23.15 e persone che tornano a casa dopo mezzanotte per svegliarsi presto la mattina successiva e andare a lavoro. Insomma ci sta che in campo non tutto riesca sempre per il verso giusto”.
A proposito di palasport, come si vive questa fase di continui spostamenti?
“Cercando di non farla diventare un alibi per nessuno, fino a questo momento ci siamo riusciti. I disagi purtroppo ci sono e sono evidenti: al Cus ci alleniamo dopo cena, al palazzetto di Colonna San Marco la condensa a volte non ci fa stare in piedi, alla lunga tutto questo può pesare e si rischia di rallentare quel percorso di crescita di cui parlavamo”.
Pesano anche quelle due sconfitte a San Giovanni e a Pisa, pur in un buonissimo avvio di campionato?
“Le abbiamo digerite male, i ragazzi per primi. Ti rimane la sensazione che avresti potuto vincere tutte le partite fino a questo momento e rimane l’amaro in bocca: purtroppo abbiamo gestito male certi momenti, siamo stati preda della frenesia, è mancata lucidità, non abbiamo giocato di squadra né mantenuto la calma, a Pisa siamo stati anche penalizzati dall’episodio dello scontro in cui si è infortunato Iozzi e abbiamo subito il canestro della sconfitta. Magari oggi parleremmo di una vittoria, pur avendo buttato via un vantaggio importante, ma pur sempre una vittoria”.
Che campionato è questa serie C?
“Siamo in un girone molto equilibrato. Il livello probabilmente non è altissimo, non ci sono squadre costruite per ammazzare il campionato, in tutte le compagini ci sono giovani interessante e poi ci sono ottimi allenatori, molti dei quali fanno la serie C da anni. Credo la Mens Sana se la possa giocare fino alla fine”.
Chiudiamo guardando in casa. Cosa ci dice del suo staff?
“Che è un ottimo staff. Filippo Toscano sa molto di basket e mi dà una grande mano nell’organizzazione settimanale oltre che nell’accorciare i miei tempi di conoscenza con ragazzi e allenatori. Sono molto contento anche di aver portato qui Andrea Innocenti, che ha grande capacità di lettura delle formazioni che affrontiamo e conosce come le proprie tasche tutti i giocatori avversari: sta facendo grandi sacrifici, perché raggiunge Siena da Firenze o addirittura da San Vincenzo, ma per noi è una pedina fondamentale”.
Matteo Tasso

Foto Mens Sana Basketball

 

 

 

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