MENS SANA, LA REVOCA DEI TITOLI E' UNA COMMEDIA ALL'ITALIANA

News inserita il 15-01-2016 - Mens sana Basket

Aspettando gli esiti dell'indagine "Time Out", si infiamma il dibattito sulla possibile cancellazione dall'albo d'oro dei tronfi sportivi biancoverdi

 
Sono trascorsi 35 anni da quando, erano gli albori degli Ottanta, Albertone Sordi interpretava sul grande schermo la figura mitologica (poi divenuta mitica) del Marchese del Grillo. Di quella commedia all’italiana, diretta dal maestro Monicelli, rimangono nell’immaginario collettivo una serie di scene, e battute, rese popolari dagli infiniti passaggi televisivi degli anni a venire, dagli upload sulle piattaforme di video sharing, dalle condivisioni sui social network. Fra queste, il colloquio che il marchese ha con papa Pio VII all’indomani dello scherzo intessuto ai danni dello stesso, fatto credere morto dal contemporaneo rintocco funebre di tutte le chiese capitoline: “Santità – dice Sordi di fronte alla proposta di condanna - sono disposto ad andare in galera purché in compagnia dei monsignori Ralla, Falchi e Bellarmino, dei cardinali Fioravanti e Bucci, del Principe Ardenghi, del duca Soffici, del conte Von Keiper e dell'abate di Santa Maria alla Minerva...”.

Una vera e propria litania di complici che Pio VII preferisce non conoscere oltre, tanto da rendere ben più clemente la condanna nei confronti di Onofrio del Grillo, il quale nello scorrere della pellicola tornerà a farsi burla di tutta la società romana. Santo Padre compreso.
Perché il Marchese del Grillo e perché proprio quella scena? Perché nel leggere le indiscrezioni di stampa sull’indagine “Time Out”, il cui numero di presunti (ad oggi tali sono e non dev’esserci alcuna voglia di anticipare la giustizia, meno che mai farne le veci) rinvii a giudizio si sarebbe allargato a dismisura nel corso di quasi tre anni di accertamenti e la sensazione che nasce spontanea è quella di un coinvolgimento talmente di massa, probabilmente anche al di fuori delle mura di Siena, da prospettare due scenari futuri: da una parte l’implosione, con annesso crollo, di un sistema di illeciti amministrativi talmente diffuso da far capitolare buona parte del panorama cestistico italiano (nel quale la Mens Sana Basket rappresentava, nel bene e nel male, la punta dell’iceberg), dall’altra la possibilità che “decimare tutto il Sacro Collegio e buona parte della Guardia Nobile” (per usare le parole di Pio VII in risposta al Marchese del Grillo) sia un’impresa talmente titanica da riportare tristemente d’attualità la retorica craxiana del tutti colpevoli nessun colpevole, col cerino che finirebbe per rimanere sostanzialmente in mano ai soli tifosi biancoverdi.
C’è di più, osservando col bruciore nello stomaco la battaglia che sul web sta combattendosi da un paio di giorni fra Siena (anzi Mens Sana) e il resto del mondo. Oggetto del contendere la reclamizzata revoca di sei scudetti, che certo potrebbe essere una conseguenza dell’invio prenatalizio alla Federazione Italiana Pallacanestro degli atti delle indagini, ma che ha bisogno di validi e non facilmente confutabili argomenti per essere dimostrata, data la focalizzazione non propriamente sportiva che l’indagine ha tirato in ballo al momento di formulare (nel maggio del 2014) capi d'accusa e responsabilità. Perché provare a indirizzare, mediaticamente, verso una sentenza tutta sportiva l’attenzione popolare? Perché focalizzarsi solo su di un aspetto, peraltro ancora tutto da confutare, che colpisce, nell’ordine, l’emozionalità del tifoso senese (che quelli scudetti li ha visti vincere mediante una superiorità cestistica indiscutibile), la rabbia mai sopita di chi, altrove, ha potuto solo prendere nota del numero di targa mensanino, la coscienza e l’etica di un’opinione pubblica che, magari, di basket sa poco o nulla e dei contorni della vicenda ancora meno ma è portata ad accostare la “Mens Sana di Minucci” alla “Juventus di Moggi”?
Un buon complottista potrebbe avanzare la tesi che spostare il polverone alzato da “Time Out” dalle stanze di una procura della repubblica a quelle di una procura federale, farebbe tirare un sospiro di sollievo a molti (non c’è bisogno di essere dottori in legge per comprendere, andiamo da un estremo all’altro, la differenza che passa fra un’eventuale frode sportiva ed un’eventuale bancarotta fraudolenta): pur non aderendo alla categoria, quella dei complottisti, è verosimile immaginare la lunga fila di riabilitati, scampati e miracolati che il giorno dopo l’eventuale revoca dei sei scudetti plauderebbero alla “pulizia fatta” per poi metterci sopra una pietra tombale e non parlarne mai più.
In definitiva dare l’ennesimo calcio nel sedere alla sola passione della gente di Siena, la gente comune s’intende, è un finale che in molti gradirebbero veder scritto sull’ultima pagina di questo giallo che si intitola “Chi ha ucciso la Mens Sana Basket?”. Un caso che, nel frattempo, la sua condanna sportiva già l’avrebbe comminata facendo passare Siena, in un’estate, dal biancorosso dell’Olympiakos al (detto col massimo rispetto) biancorosso dell’Use Empoli. Ma di questo pare essersi accorta, tanto per cambiare, sempre e solo la gente di Siena.
Del resto, citando di nuovo il Marchese del Grillo nel momento in cui, beffardo, evitava il gabbio: “Scusate, ma io so io e voi nun siete un…”.

Matteo Tasso 

 

 

 

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