STORIA DEL PALIO: QUANDO IL DRAPPELLONE NON È BENEDETTO

News inserita il 15-08-2018 - Palio - Rubrica Storia del Palio

Le critiche, più o meno severe, ai cenci del passato, ed il "precedente" dello straordinario del 1961

“E’ un opera d’arte moderna ma non rispetta i caratteri della cultura mariana e per questo benedico la città ma non il drappellone, perché la benedizione è riservata alle immagini religiose”. Con queste parole Mons. Buoncristiani ha manifestato la volontà di non impartire la sua benedizione al cencio di Charles Szymkowicz, smentendo, in parte, le parole da lui pronunciate nel luglio 2010 a seguito delle contestazioni suscitate dal Palio multiculturale di Ali Hassoun, e così facendo ha posto in essere un unicum nella plurisecolare storia della nostra festa.

Come già ricordato nei nostri scritti invernali sul regolamento per il Palio, l’art. 93 prescrive tra gli elementi obbligatori del drappellone di agosto la raffigurazione della Madonna Assunta in Cielo (e quindi senza il Bambino in braccio), che i vari artisti che si sono succeduti nella pittura del cencio hanno interpretato in modi differenti e, talvolta, non convenzionali. Già in passato, da quando cioè il Comune ha cominciato a scegliere pittori non senesi per il Palio di agosto, esponenti della chiesa senese non hanno risparmiato critiche, anche severe, ai vari drappelloni. Nel 1981, per esempio, la Madonna di Valerio Adami fu definita “figura dissacrante le cui gambe sembravano zampette di porco”. Nel 1984, ci volle tempo per convincere Mons. Castellano ad accogliere in Duomo il cencio con le nudità di Caruso. E come dimenticare la levata di scudi dell’arcivescovo Bonicelli e dei correttori delle contrade di fronte alle figure dissacranti dei cenci di fine anni ’80 ed inizio anni ’90 (dalla “Donna" con il passeggino di Fromanger, alla Madonna a testa in giù di Alinari fino ai simboli di dubbia interpretazione di Mimmo Paldino).

Il cencio dell’agosto 2018 resterà quindi nella memoria come il Palio non benedetto, così come il drappellone dello straordinario del 4 giugno 1961, rinviato poi al 5 causa maltempo, è passato alla storia come il “Palio ateo”. Fu un Palio, l’ultimo fino ad oggi ad essere stato corso in giugno, iniziato con tante polemiche circa la dedica: il consiglio comunale si spaccò tra chi voleva ricordare il centenario dell’Unità italiana e chi voleva celebrare, in settembre, la ricorrenza del gemellaggio con Avignone. Alla fine prevalse la dedica patriottica, ed il Palio fu organizzato, cosa oggi improponibile, in pochi giorni: il 21 maggio furono estratte le contrade, il 1° giugno ci fu la tratta. In questa corsa contro il tempo, in Comune si dimenticarono una delle cose più importanti e cioè l’individuazione della chiesa ove portare il drappellone per la benedizione, e così il cencio “tricolore” di Ezio Pollai non fu mai benedetto, da qui l’appellativo di ateo. Ed anche nel dopo corsa, i nicchiaioli che festeggiavano la vittoria di Uberta e Vittorino, non sapendo dove andare a cantare il Te Deum, tornarono nel rione e solo il giorno seguente, la comparsa con tutto il popolo provvidero ad omaggiare la Vergine recandosi nella cripta di San Domenico.

Davide Donnini

 

 

 

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