Il treno segue (e insegue) i ritmi della vita.
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Beh, lo confesso, il treno mi erotizza, perché penso che lì incontrerò il mio grande amore. Immaginavo che da un momento all'altro sarebbe entrato nello scompartimento. Come sarebbe stato? Un giovane rivoluzionario come il Che del poster? Un bruttino intellettuale e dolcemente triste come il cantante dei Radiohead? Una lesbica nera vestita da Batgirl? Il mio adorato Hannibal? Oppure il controllore più sexy del mondo?"
Così Stefano Benni, scrittore e poeta bolognese, classe 1947, descrive l'esperienza di prendere il treno, un mezzo veramente speciale, soprattutto se si parla di treni, come quelli che transitano nella stazione di Siena, che sono lenti, che non hanno tutto il desiderio di raggiungere in fretta la destinazione.
Non hanno niente a che vedere con il Frecciarossa, non c'è nessun tipo di comfort, i finestrini sono anche un po' opachi e lasciano libera l'immaginazione del passeggero di crearsi un paesaggio fatto di tante nuvole; non hanno la WiFi, anzi non sanno neanche cosa sia, ed in questo modo le persone sono anche libere e forse un po' incentivate ad "osservare" chi c'è di fronte.
Nessuno è così immerso nel suo mondo, anche con i "telefonini evoluti", gli I-pod; i microcosmi non sono così impermeabili, ed ogni scossone rumoroso e forte ricorda che siamo su un treno, su quello che segue i ritmi della vita, proprio in quello in cui non è importante solo la meta da raggiungere ma anche e soprattutto il viaggio.
In quel viaggio troveremo chi ha una "storia", la sua "storia", magari si aprirà ancora di più di quanto non farebbe con un parente o con un'amica stretta, alle volte di fronte ad uno sconosciuto, che sappiamo che non rivedremo mai, più diciamo tutto, tutto l'amore e tutto il dolore che ci tiene stretti a questa vita.
C'è poi chi decide di lasciare, con l'immaginazione, il "treno fermo alla stazione", come ci racconta il Professor Vecchioni in "Sogna ragazzo sogna", decide di non prenderlo, perché, si sa, che per viaggiare ci vuole coraggio.
Allora mi sento di dire a chi critica il sistema ferroviario senese che in qualche modo siamo fortunati ad avere ancora "il lato umano" di questi viaggi, che siamo fortunati ad "incontrare" per davvero i pendolari, sia quelli abituali con i quali si instaura un rapporto quasi di "solidarietà" per le levatacce, per i ritardi dei treni, per il lavoro duro, e siamo altresì fortunati ad incontrare quelli inconsueti che quasi diventano confessori.
Chiara Lenzini