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FEDERICO CAMPANELLA: “SIENA E LA MENS SANA LE PORTO NEL CUORE”

News inserita il 06-03-2023

L’ex coach biancoverde, dopo i successi di Piacenza, viaggia in vetta alla serie B sulla panchina di Ruvo di Puglia

Il nostro viaggio attraverso le eccellenze del basket cresciute in terra senese fa tappa a Ruvo di Puglia, cittadina di 25 mila abitanti con una passione viscerale per la palla a spicchi e una squadra, la Talos sponsorizzata Tecnoswitch, che viaggia in vetta al campionato di serie B. La allena Federico Campanella, che è livornese di scoglio e giustamente orgoglioso delle proprie radici, ma che Siena se la tiene stretta nel cuore per motivi di vissuto cestistico e familiare: “La Mens Sana mi ha formato come coach – dice Campanella, 43 anni il prossimo 30 gugno, arrivato nel 2006 in viale Sclavo per occuparsi della foresteria dell’allora Montepaschi -, ma soprattutto è un pensiero, uno stile di vita, una mentalità che mi porto dentro e che provo a diffondere anche in contesti diversi”. E poi alle nostre latitudini Federico Campanella ha messo su famiglia, sposando Laura e mettendo al mondo la bellissima Vittoria “che vivono a Siena e che ringrazio ogni giorno – dice - per come assecondano questa mia vita da nomade della pallacanestro, trascorsa in giro per l’Italia”.
A proposito di famiglia, il suo è un dna cestistico?
“Mio padre Maurizio ha arbitrato per oltre dieci anni in serie A, la passione per lo sport e soprattutto per la pallacanestro l’ho ereditata da lui. Negli anni Ottanta, quando Livorno era basket city, mi portava a vedere tutte le partite, in casa non si parlava di altro, ho addirittura una foto in cui, piccolissimo, sono dentro al box con un pallone da basket: mi ha sempre seguito nel percorso che ho intrapreso ma non ha mai interferito nelle scelte fatte, anche oggi che purtroppo non c’è più rimane per me un esempio da seguire e provare a imitare”.
Magari, pur non potendola arbitrare (all’epoca i fischietti non potevano dirigere squadre della loro stessa regione nelle categorie professionistiche, ndr), le avrà raccontato anche qualcosa della Mens Sana di quei tempi?
“Mi raccontava soprattutto del torneo delle Contrade, l’Affogasanti, e del clima incredibile che si respirava in tribuna e in città durante quelle partite. Di giocatori di serie A, e anche di campioni stranieri, che si calavano in un contesto di fine stagione come se invece si giocasse per vincere un campionato o una coppa”.
A proposito, Federico Campanella è un cuore Pielle o Libertas?
“A Livorno ho allenato praticamente in qualsiasi società. Il club nel quale ho iniziato con il settore giovanile però, sì, è stata la Pielle”.
Quando ha esordito in serie A, erano invece i tempi del cosiddetto Livorno Basket…
“Un’esperienza meravigliosa, incredibile, avevo 24 anni e da allenatore delle giovanili fui catapultato nello staff della prima squadra della mia città. Un sogno, ho ancora i brividi se ci ripenso”.
Come nacque quell’opportunità?
“Claudio Crippa, che all’epoca era general manager, mi individuò come allenatore emergente, da premiare con un’esperienza formativa al fianco di due grandissimi personaggi come Paolo Moretti e Sandro Dell’Agnello, rispettivamente capo allenatore e vice di quella squadra: entrambi mi aiutarono moltissimo a calarmi in una realtà che io al massimo vedevo in tv o leggevo su Superbasket, in squadra c’era Abbio che a volte mi raccontava di quando con la Vitus Bologna disputava l’Eurolega, altri aneddoti li sentivo dalla voce dello stesso Crippa, insomma era come ascoltare un audiolibro della storia della pallacanestro”.
La “vita da nomade della pallacanestro”, sono parole sue, inizia proprio a Siena…
“Arrivai alla Mens Sana come braccio destro di Giulio Griccioli per il settore giovanile, nel quale ebbi anche l’incarico di responsabile della foresteria. Sono stati quattro anni di formazione e crescita sul piano personale e professionale, culminati con gli scudetti Under 17 e, nell’ultima stagione assieme ad Alessandro Magro, Under 19, ma c’è anche altro…”.
A cosa si riferisce?
“La Mens Sana era un metodo, un’etica di lavoro, era la cura dei minimi dettagli sul campo e fuori, era lo spirito di sacrificio che si assorbiva quotidianamente da chi lavorava al tuo fianco e che veniva trasmesso a chiunque indossasse quella maglia. In quegli anni ho avuto anche la fortuna di stare quotidianamente a contatto con la prima squadra, di ascoltare le riunioni tecniche di Pianigiani, di Banchi, dello stesso Magro: per il sottoscritto è stato come partecipare a un clinic quotidiano”.
In quel periodo nasce la scintilla per tutto ciò che è successo dopo?
“Sentii il bisogno di iniziare a camminare con le mie gambe e l’opportunità datami da Cecina si rivelò la scelta giusta per riuscirci. Quando ho esordito ero il capo allenatore più giovane della B, negli anni abbiamo scalato le classifiche, arrivando nel 2015 a costringere a gara-4 di finale playoff una Mens Sana che in serie B era solo di passaggio e che si portava dietro un pubblico incredibile, mai più incontrato altrove in giro per la categoria: purtroppo perdemmo, ma a Cecina dopo quasi dieci anni continuano ancora oggi a parlarne, di quella stagione”.
Passa un altro treno, direzione Montecatini…
“La società era stata rifondata, c’erano ambizioni di risalita che nel tempo abbiamo coltivato, giungendo il secondo anno a disputare la semifinale per andare in A2, eliminati da Cento che poi avrebbe vinto il campionato. È stata un’opportunità di miglioramento personale, per il basket termale è stato anche il punto più alto in epoche recenti”.
Quando, nel 2018, le arrivò la chiamata della Mens Sana cosa provò?
“Accettai con un entusiasmo, una voglia e delle motivazioni incredibili. Tornare a Siena, con un ruolo importante, in quella che nonostante le vicissitudini precedenti sentivo ancora come la mia Mens Sana era un grandissimo onore. Oltretutto ci erano stati rappresentati un progetto e una situazione ambiziosi, sembrava che davvero ci fossero le basi per far tornare Siena a un livello più consono”.
Cosa le resta di tutto ciò che, invece, si verificò nei mesi seguenti?
“È stata come una delusione d’amore, quando la squadra fu estromessa dal campionato avevo il cuore spezzato. Fosse capitato altrove, al di là dell’aspetto economico, avrei sofferto molto meno, ma Siena e la Mens Sana le avevo e le porto tuttora nel cuore, essere tornato e non aver potuto lavorare come volevo, come volevamo tutti, è stato un colpo durissimo”.
Siena oggi ha tre squadre nella stessa categoria, la C Gold. Che effetto le fa?
“Seguo le vicissitudini del basket senese, quando non lo faccio personalmente ci pensa la mia famiglia a tenermi aggiornato, la mia, se me lo concedete, è una condizione di senese adottato. Credo che intanto debba essere portato rispetto a queste tre società, che stanno compiendo un loro percorso senza fare il passo più lungo della gamba per evitare di scottarsi, ancora una volta. Nell’ambiente vedo che rimane la passione, leggo di campanilismi, di sfottò, sono tutte cose che servono a tenere viva la fiamma: l’augurio è che la città torni a ricoprire un ruolo importante come le spetta per tradizione, mi ricordo bene come la gente, quando ebbi la fortuna di arrivare per la prima volta a Siena, avesse come argomenti principali il Palio e la Mens Sana”.
La sua Livorno, che ha sempre lavorato sui giovani, si è risollevata portando 7 mila tifosi al derby Pielle-Libertas in serie B. È l’esempio da seguire?
“A Livorno oggi c’è un clima incredibile, si è riacceso l’entusiasmo di un tempo pur facendo, appunto, soltanto la serie B. Credo possa essere un buon punto di riferimento, ma è bene chiarire che sono percorsi lunghi: un settore giovanile non lo costruisci in un attimo, per formare giocatori ci vogliono anni, però la strada è quella e le società devono avere una visione al di là dell’immediato, non guardare solo ai regolamenti dei campionati”.
Nel caso della Mens Sana si è trattato, e si tratta, di ri-costruire…
“Da quello che vedo, nella squadra che sta disputando la C Gold ci sono alcuni ragazzi di scuola Mens Sana. È un fatto importante e positivo puntare su ragazzi che abbiano una loro identità, che abbiano voglia di diventare giocatori nella propria città: accanto a loro ovviamente serve un’organizzazione, fatta da allenatori competenti e da altre figure professionali. Parlo spesso con Binella e Caliani, credo che il percorso messo in piedi negli ultimi anni sia quello giusto da seguire”.
Facciamo di nuovo un passo indietro. A Piacenza ha vinto un campionato e una coppa di B, ricevendo il premio di miglior coach di entrambe le competizioni, poi ha mantenuto la società in A2, cosa mai avvenuta da quelle parti…
“Ho avuto soprattutto la fortuna di lavorare assieme a Marco Beccari, un grande uomo prima ancora che un grande presidente, avevamo un feeling incredibile nel modo di affrontare la vita, non solo nell’interpretare il lavoro, assieme abbiamo costruito stagioni vincenti grazie alla struttura societaria e alla mentalità che caratterizzavano tutto l’ambiente. Appena terminata la patita che ci ha visti promossi in A2, abbracciandolo gli ho promesso che sarei stato il primo allenatore a lasciare Piacenza in quella categoria, una promessa divenuta una missione quando lui, un anno fa, purtroppo se n’è andato e mi è crollato il mondo addosso: mesi dopo, alla fine di gara-4 dei playout contro la Stella Azzurra, sono scoppiato a piangere non tanto per la nostra vittoria quanto per essere riuscito a mantenere quella promessa”.
Come si è ambientato a Ruvo di Puglia?
"É un posto spettacolare per fare pallacanestro. Qui si respira basket a ogni angolo, quando esci per strada trovi il ragazzino che ti chiede di fare un selfie con lui o la persona meno giovane che ti fa l’in bocca al lupo per la partita, addirittura al bar trovo quasi sempre la colazione pagata da qualche tifoso: c’è grande calore, ma c’è anche grande rispetto, al sud si trova un’accoglienza che non ha eguali. Ricambiarla dando il massimo è un obbligo per tutti noi”.
Siete primi in classifica, era nelle previsioni?
“Per la società è l’anno zero, è nuovo il coach, è diverso lo staff, sono cambiati tutti i giocatori. Siamo partiti con l’obiettivo di rientrare nella futura B Eccellenza, quindi per arrivare tra le prime quattro, non pensavamo di andare subito così bene ma siamo in vetta alla classifica praticamente da 20 giornate. Diciamo che siamo oltre le aspettative ma sognare è lecito, più che mai in un club che ha grande ambizione e la volontà di far bene”
Con Ammannato, che è capitano della squadra, parlate la stessa lingua mensanina?
“Marco alla Mens Sana era nel gruppo degli Ottantotto e degli Ottantanove, assieme a lui c’erano Portannese, De Bartolo, Barozzi e tanti altri che poi hanno avuto una buona carriera professionistica. Uscì dal settore giovanile l’anno prima che io arrivassi a Siena, ma pur non essendoci incontrati allora abbiamo oggi la stessa mentalità e la stessa etica: ho scelto di farlo capitano per investirlo del compito di diffondere quella mentalità al resto della squadra, che è comunque molto esperta. Ci sono Ghersetti, Diomede, Burini, dovendo riformare da zero un intero roster ho cercato persone che potessero accorciare l’adattamento di tutti al mio modo di intendere il basket: è un gruppo molto ben affiatato, si lavora bene e questa è sempre un’ottima base”.
Matteo Tasso


La foto di Federico Campanella (Riccardo Ginnari) è tratta dalla pagina facebook Pall. Ruvo di Puglia - Talos Basket Ruvo.
Un ringraziamento a Paolo M. Pinto per la disponibilità e la collaborazione.

 

 
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