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QUALE STRATEGIA PER RILANCIARE LA MENS SANA?

News inserita il 24-01-2023

L’attuale campionato di C Gold è un “interregno” per valutazioni cestistiche, ma l’ambiente si attende risposte per il futuro

L’attualità imporrebbe di riflettere sul perché, da cinque partite, la Mens Sana sia ferma a quota 10 in classifica, sulle cause (è una bella lotta tra quelle cestistiche e quelle mentali) che la portano a dimenticare dentro gli spogliatoi tutto ciò che di buono, tanto, produce dalla palla a due all’intervallo, sui “bug” (detto con simpatia, ci mancherebbe) che la mandano in tilt al momento di andare in lunetta per battere i tiri liberi, i quali proprio perché liberi dovrebbero essere sulla carta un’ancora di salvataggio e non diventare uno psicodramma collettivo. L’attualità imporrebbe anche di chiedere spiegazioni, fuori dal campo, non tanto sui cosiddetti fischi che vanno in direzione contraria (ce ne sono stati un po’ troppi ultimamente, vero, ma gli arbitri non sono infallibili, come non lo sono giocatori, allenatori, dirigenti, tifosi e, più di tutti, i giornalisti), quanto sulle modalità di gestione della giustizia sportiva, perché negli ultimi mesi dalle parti del PalaEstra è stato un diluvio universale di provvedimenti disciplinari, multe, squalifiche (sono valutazioni soggettive, d’accordo, ma i nostri non paiono i Detroit Pistons di fine Anni Ottanta, non a caso definiti Bad Boys) a fronte di comportamenti in tutto e per tutto identici a ciò che si è visto, si vede e si vedrà su qualsiasi altro campo e da parte di qualsiasi altra società o tesserato avversario, ma che evidentemente non fa testo, né cassa (e né notizia) quando in giro non c’è odore di Siena. Siena, ovviamente, intesa come viale Sclavo.
Perché quel condizionale, imporrebbe? Perché il vero focus sul “pianeta Mens Sana” (nel quale è comunque obbligatorio lavorare per tornare a vincere qualche partita e non è affatto sbagliato pretendere un po’ di rispetto in più) non è tanto l’attualità di una stagione che, di fatto, il blocco delle retrocessioni ha reso ovattata, un interregno favorevole e al tempo stesso prezioso per tutta una serie di valutazioni cestistiche non necessariamente legate ai risultati del campo, quanto l’immediato domani che la seguirà, inteso come prospettive di credibilità e sostenibilità, per un progetto di risalita partito dal livello dopolavoristico del campionato di Promozione e approdato, oggi, alle soglie di quel target, la serie B, dichiarato nel 2019 come massima ambizione possibile stante l’attuale strutturazione del club. La parentesi Covid e l’ennesima riforma dei campionati hanno in parte spostato l’orizzonte temporale di certe valutazioni, ormai datate, ma per il bene di un ambiente che tiene stretti con sé ancora numeri e attenzioni fuori categoria, la prossima estate non potrà non essere il momento giusto per mettere i due punti, aprire le virgolette e dichiarare, apertis verbis, ciò che si vuole fare e ciò che si è in grado di fare per portare avanti la Mens Sana e la sua storia.
All’orizzonte non c’è un cavaliere bianco pronto a far salire (in sella, anzi nel basket professionistico) la bella addormentata, quella favola è morta e sepolta con l’ultimo fallimento, anno 2019 appunto. Difficile anche pensare a qualcuno interessato a rilanciare un brand e una storia, se di quel brand e di quella storia, fuori da Siena (e non solo), si ricordano, tra l’altro non senza soddisfazione, solo i capitoli legati ai reati, ai processi, alle condanne e alla morte, sportiva, di ciò che fu. Questo però non vuol dire che non sia possibile trovare una dignitosa via di mezzo tra l’Eurolega, la Saporta, gli scudetti, le coppe (e anche i precedenti 30 anni di serie A, la Mens Sana è stata anche quella) e la serie C, argento o oro che sia.
Ce l’ha fatta Montecatini dopo 20 anni con due squadre, seppur con un modello difficilmente adattabile (e poco gradevole) che nel 2016 ha trasferito alle Terme la società di Monsummano e nel 2021 ha visto, dal nulla, la nascita di una seconda franchigia che ha vinto la C Gold spendendo cifre quasi da basket professionistico. Ce l’ha fatta dopo 30 anni Livorno, che nel tempo ha ricreato il dualismo Pielle-Libertas fino a portare al palasport 7 mila tifosi entusiasti (è storia di un mese e mezzo fa, con buona pace di tutti quei sodalizi che in A2, qualcuno anche nel massimo campionato, alla domenica staccano poche centinaia di biglietti), la via senza dubbio più intrigante da seguire perché nata dalla rifondazione dei rispettivi settori giovanili e dalla capacità di renderli credibili anche in un basket semi-professionistico. Ce la stanno facendo pure sodalizi come Empoli, San Miniato e Piombino, che magari hanno meno blasone (tutto è relativo…) ma un vissuto ormai importante a certi livelli, fatto di sane gestioni e investimenti mirati.
Non ce l’ha fatta invece, e deve essere l’ennesimo monito per tutti quanti, la neo ricostituita Pallacanestro Firenze, che in appena cinque mesi ha visto nascere e morire la propria serie B destinata a palcoscenici ben superiori, con uno stucchevole rimpallo finale di accuse e responsabilità che riporta alla mente storie già vissute e testimonia quanto il modello “qualche santo ci aiuterà” (del quale rimangono ancora estimatori alle nostre latitudini) sia una sciagura non tanto per i giocatori, gli allenatori e i dirigenti (sono professionisti e tutti quanti, prima o poi, si accasano altrove) quanto per le uniche vere vittime e cioè i tifosi. Almeno laddove i tifosi ci sono, certo.
Matteo Tasso

 

 

 
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