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BINELLA: “LA CRESCITA DELLA MENS SANA PROSEGUE, MA DEVE ESSERE SOSTENIBILE”

News inserita il 09-11-2022

Il coach analizza tutta l’attività del club di viale Sclavo. “Sorpresi positivamente dall’avvio in C Gold, settore giovanile ricostruito numericamente”

Nella settimana che porta al difficile match casalingo contro Cecina (si gioca al PalaEstra sabato sera alle 20.30), la Namedsport Mens Sana allenata da Pierfrancesco Binella guarda con rinnovata fiducia alla propria stagione da debuttante in C Gold. A dare morale sono le tre vittorie conquistate nelle prime sei giornate, ma anche la crescita, tutto intorno, di un movimento che nel tempo si spera possa consentire alla società di viale Sclavo altri piccoli avanzamenti, come avvenuto dal 2019, anno della ripartenza, a oggi.
Binella, non è che improvvisamente state candidandovi per un posto nella zona-playoff?
“Apprezzo la battuta, ma confermo ciò che ripetiamo dall’estate e cioè che i momenti bui in questo campionato di C Gold arriveranno. Siamo contenti e anche un poco sorpresi per come sono andate le cose, abbiamo fatto buone prestazioni, però bisogna ammettere che alcune coincidenze ci hanno aiutato: penso alla vittoria nel derby, arrivata al termine di una gara nella quale la Mens Sana ha prodotto un ottimo basket per quelli che sono i propri standard, ma nella quale il Costone ha fatto i conti con tutta una serie di circostanze non ottimali”.
Significa che il primo vero confronto con l’alto livello della C Gold lo avrete sabato contro la capolista Cecina?
“Prima Cecina e poi la Virtus, la settimana successiva, ci daranno risposte su quanta distanza esista tra noi, oggi, e l’ambizione che abbiamo, in futuro, di disputare un campionato da protagonisti. Partecipiamo a questa C Gold proprio con l’obiettivo di misurarla, la distanza: al momento c’è un gap notevole, a volte cerchiamo di colmarlo con qualche accorgimento, altre volte invece non è proprio colmabile, per questioni tecniche e di struttura fisica”.
Dorin Buca, per tanti motivi, è il giocatore più attenzionato nel roster biancoverde. Come procede il suo percorso e come stanno supportandolo i suoi compagni di squadra?
“Dorin ha le proprie esigenze, che sono quelle di assaggiare un basket leggermente più competitivo rispetto a quello in cui si è mosso prima di arrivare a Siena e che comprendono la sua giusta ambizione, sia per caratteristiche fisiche che per contingenze di, chiamiamolo così, mercato, di arrivare a un livello più alto del nostro. Ha anche cambiato abitudini di vita, perché per giocare qui ha iniziato a viaggiare, e poi deve integrarsi in un gruppo che conosce da poche settimane. Dal canto loro, i compagni devono invece imparare a giocare con un elemento della sua importanza e con le sue caratteristiche. È uno sforzo che riguarda tutti, anche noi tecnici, le risposte sono positive anche se il percorso è solo all’inizio”.
Facciamo un passo indietro, al 2019 e all’input dato secondo il quale questa nuova Mens Sana ha la serie B come traguardo massimo raggiungibile. Dopo tre anni, comprensivi della non insignificante parentesi Covid, è cambiato qualcosa?
“L’idea rimane quella ma il concetto che deve guidarci, allora come oggi, è la sostenibilità, perché ambizione, fame e volontà di tornare a più alti livelli sono importanti ma non devono comportare rischi di ricaduta, la Mens Sana non può più permetterseli”.
Seppur alla vigilia dell’ennesima riforma dei campionati, la C Gold rappresenta l’anticamera della serie B…
“Paradossalmente, proprio in considerazione di ciò che è successo in questi anni, siamo arrivati molto alla svelta in una categoria così alta: la società ha fatto piccoli ma importanti sforzi per rendersi adeguata a questa C Gold, altri ritiene di poterli compiere nei prossimi mesi con l’obiettivo di prendere parte a una serie C unica di alto profilo, nella quale provare, nel tempo, a guadagnarsi la possibilità di accedere alla serie B”.
Che effetto fa risalire tre categorie senza mai vincere un campionato?
“Ho sentimenti contrastanti, da un lato mi pesa perché non siamo arrivati in C Gold come avremmo voluto, penso soprattutto al primo anno quando non è stato possibile giocarsi la vittoria nel campionato di Promozione, che comunque non era scontata, dall’altro ci è stato però riconosciuto un percorso di ricostruzione e di ripartenza solidi, grazie al lavoro di tutti coloro che operano in società, all’importanza della piazza e dell’ambiente-Mens Sana, nel quale includo il seguito di tifosi che abbiamo e l’interesse che i media e i social ci riservano. La gente della Mens Sana è stata parte integrante di questa ricostruzione e continua ad esserlo”.
Perché, allora, passare proprio a quella gente il messaggio “dimentichiamo la Mens Sana che fu”?
“Non si tratta di dimenticare la storia, si tratta di evitare confronti con la storia. Qualsiasi tipo di confronto è inglorioso, dobbiamo essere coscienti di questo nonostante sia naturale, o almeno lo sia stato al momento della ripartenza, vivere anche di confronti pur di tenere acceso il sentimento: siamo ripartiti assieme a quelle stesse persone che avevano vissuto l’epoca dei grandi successi, e avevano anche pagato sulla loro pelle i fallimenti, e questo è stato il segnale più bello per tutti, da chi ha provato a rimettere in piedi il basket a chi è andato in campo indossandone la maglia, oggi deve però essere ormai chiaro l’ambito, il contesto nel quale ci si sta muovendo. Noi per primi siamo consapevoli di non poter garantire neppure una lontana idea di ciò che è stata la Mens Sana in passato, siamo coscienti del fatto che se un domani dovesse esserci, ce lo auguriamo, un progetto riproponibile a più alti livelli non ne faremmo parte, o ne saremmo comunque parte solo collaterale”.
Qual è lo stato di salute della Basketball Academy?
“Siamo molto soddisfatti per la ricostruzione, almeno in termini numerici, di un settore giovanile vero e proprio, non era scontato quando siamo ripartiti, praticamente da zero. La società sta compiendo passi costanti per crescere, penso all’accordo con Valdelsa Basket che ci garantisce un legame sul territorio o ai piccoli interventi di miglioramento in termini di integrazioni nelle nostre squadre laddove manchiamo di centimetri e struttura atletica adeguata: quest’anno schieriamo una sola formazione Eccellenza, l’Under 17, in un campionato che riteniamo proporzionato alle nostre potenzialità, poi siamo ai nastri di partenza dei tornei Under 19, Under 17 e Under 15 Gold e Under 14 Elite. Voglio citare come fatto estremamente positivo l’uscita di Matteo Guerrini, andato in prestito all’Aquila Trento grazie anche alla collaborazione di Marco Crespi: la Mens Sana ha l’obiettivo di formare giocatori e al contempo di ricostruire una rete di contatti che la facciano tornare sulla mappa del basket italiano. Vogliamo che in giro si conoscano i contenuti della ricostruzione e della ripartenza, non solo della precedente sparizione”.
L’uscita, appunto, di Matteo Guerrini significa che i giocatori con buone prospettive devono maturare altrove?
“La Mens Sana si trova in un contesto adatto a costruire elementi pronti per disputare una C Silver, una Gold, in prospettiva anche una serie B, regionale o magari nazionale. Si può arrivare a questi traguardi tramite una formazione interna, ma anche attraverso percorsi di più alto livello, sui quali non abbiamo ovviamente alcuna preclusione. La mission della Basketball Academy è creare giocatori, ricordiamolo, non allestire un settore giovanile solo perché le regole della prima squadra lo impongono: è un fatto in controtendenza rispetto a ciò che succede ai clubs professionistici, i quali ormai rifiutano quasi sistematicamente il rapporto tra costi e benefici per formare un cestista di alto livello, preferendo investire su giocatori già pronti, magari stranieri”.
Intanto, però, l’Academy ha portato a Siena il talento baltico Risto Soodla…
“Lo avevo visto all’opera in Estonia, durante l’Erkmaa Suverkursus, ma era già in accordi con Casale Monferrato, che lo tenuto per un paio di stagioni, fino a quando non hanno chiuso la foresteria. La rete di contatti che abbiamo ci ha permesso di attivarci in tempo per portarlo qui in prestito, con l’opzione sul diritto di riscatto a costi sostenibili. È un ragazzo molto giovane, acerbo anche fisicamente, ma sta crescendo sul campo e fuori, è importante non mettergli pressione: rappresenta una scommessa, oltre che un test a livello societario per capire come gestire al meglio queste figure e queste situazioni”
Svanito l’appeal dei grandi successi del passato, e in un contesto cittadino che vanta altre società con settori giovanili affermati, perché un ragazzo di Siena dovrebbe scegliere di giocare nella Mens Sana?
“In passato l’identificazione con la prima squadra era un indotto per tutta l’attività giovanile, vero, e non è un caso che al momento di ripartire si sia puntato con forza su chi già aveva una propria dimensione mensanina. Credo che oggi, pur in presenza di una concorrenza cittadina che è sicuramente valida, i ragazzi e le famiglie ci scelgano identificandosi nel nostro modo di lavorare: la credibilità si acquista fornendo qualità ma anche ampliando il ventaglio di scelte, come facciamo all’interno dei nostri tre diversi progetti formativi che, oltre al basket, puntano all’apprendimento della lingua inglese, allo sviluppo di capacità motorie, di base e evolute, e di capacità neuro-cognitive. Sono tutti aspetti fondamentali in un percorso nel quale l’idea è che un nostro giocatore non diventi per forza un campione, ma possa un domani fare bene nel mondo del basket anche come dirigente, allenatore, arbitro o preparatore atletico”.
Tre squadre cittadine militano nello stesso campionato, ma di giocatori senesi a referto ne vanno ben pochi. Quale spiegazione si può dare?
“L’attività di Mens Sana e Virtus è stata altamente selettiva per un lungo periodo e questo ha fatto sì che molti cestisti nati a Siena, potenzialmente in grado di giocare ai livelli in cui ci troviamo adesso, si siano persi. L’implementazione delle foresterie, che è durata ben oltre gli anni degli scudetti giovanili, diciamo almeno fino al 2017 o 2018, ha costretto tutti questi ragazzi a un confronto che non sempre è stato sostenibile, sul piano tecnico ma pure su quello caratteriale: c’è stato chi ha sofferto il fatto di essere stato scartato, chi ha desistito prima ancora di confrontarsi, anche chi non ha ritenuto il livello di una serie C all’altezza delle proprie aspettative e si è allontanato, o comunque ha scelto percorsi differenti. Se escludiamo qualche trentenne o ultra-trentenne che, invece, ha sempre lottato e ha dimostrato di poter essere competitivo, e alcuni di loro negli anni hanno fatto parte della nostra ripartenza, è indubbio che i giocatori senesi, soprattutto giovani, mancano all’appello: guardando in casa nostra, voglio citare come bella eccezione Edoardo Pannini, espressione senese di un percorso selettivo come è stato quello del settore giovanile Mens Sana”.
Intanto sono spariti anche gli allenatori senesi. A livello professionistico, dietro a Matteo Mecacci, coach a Cento, e Carlo Finetti, assistente a Udine, c’è il vuoto…
“Se parliamo di, passatemi l’espressione, nativi senesi, mi vengono in effetti in mente solo quei due nomi, ai quali aggiungo però Giulio Griccioli che allena in Cina e sta facendo un’esperienza diversa e particolare, bella seppur riservata a pochi. Ci sono, casomai, i senesi di formazione come Magro, Campanella, Catalani, anche Mulinacci che sta lavorando come preparatore fisico a Cento, proprio con Mecacci, ma effettivamente quella scuola che in passato metteva sulla mappa del basket italiano allenatori di casa nostra si è un po’ persa. Voglio essere chiaro, non è solo una questione di capacità o di coinvolgimento, il problema sta anche nei dubbi che si presentano al momento di optare per una carriera che quasi sempre rappresenta un salto nel buio: salvo rarissimi casi, oggi allenare significa riscuotere metà dello stipendio pattuito, quando le cose vanno bene. Insomma, se non ha le spalle coperte da una buona situazione familiare, un giovane che magari avrebbe potenzialità e volontà finisce per essere sfiduciato dal contesto”.
Binella il professionista non lo ha fatto per scelta propria?
“Ho avuto esperienze importanti e idonee a quel percorso quando ero molto giovane, ma anche allora pensare di fare l’allenatore era considerato un salto nel buio e io quel salto non mi sentii di farlo, seppur per motivi differenti. Chi decideva di fare il coach, trent’anni fa, vabbè diciamo una ventina, veniva considerato una persona che non si concentrava sulle reali priorità della vita, sul proprio futuro, allenare una squadra di basket nell’immaginario collettivo non era neppure un lavoro, era più un’attività riservata a pochissimi eletti. Sono sincero, non ho mai rimpianto quella scelta anche se la curiosità di sapere come sarebbero andate le cose, ogni tanto, viene a galla”.
Eppure circolano aneddoti sul plauso ricevuto da Ettore Messina ai tempi del corso allenatori…
“Faccio luce su questa leggenda, se proprio costretto. Anno 2003, test di ammissione al corso allenatori a Roma, palestra San Paolo Ostiense, trecento candidati circa, i primi sei o sette brutalmente maltrattati da Ettore Messina, che aveva il compito di esaminarci. Tocca a me, entro in campo per la breve dimostrazione che si è chiamati a fare, in gergo tirocinio, con lo stato d’animo di chi sa che verrà di lì a brevissimo trucidato e quasi subito vengo interrotto da una sua domanda specifica: rispondo con un concetto che gli avevo sentito trattare molti anni prima, quando le lezioni per allenatori non erano ancora obbligatorie, la faccia di Messina è perplessa, da parte mia smarrimento totale ma poi: “Molto bene, puoi andare”. Considerate le premesse, quel “molto bene” equivaleva a un’ovazione. A distanza di anni la ritengo una grande soddisfazione personale, del resto ero di fronte al guru, allora come oggi, della pallacanestro italiana e non solo”.
Matteo Tasso

foto Mens Sana Basketball Academy

 

 

 
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