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SIENA, LA MUSICA E LA BELLEZZA: IL RITORNO IN UNA CITTÀ STREPITOSA

News inserita il 15-07-2021

Ritrovare i luoghi in cui individualità e comunità riescono a convivere senza contrastarsi, in cui la tradizione e la contemporaneità procedono insieme

Mancavo da un po’. A Siena mi sono laureato con Luciano Alberti e, da studente di “Musica e spettacolo”, frequentavo i venerdì della Chigiana per essere introdotto in quel mondo di bellezza immateriale che è la musica. Sono tornato con i miei figli, di 16 e 14 anni, appassionati della “loro” musica, e sono tornato sui luoghi che mi hanno visto giovane e felice e che ancora oggi mi fanno provare un sentimento di profonda gratitudine nei confronti di una città bella e raccolta, in cui individualità e comunità riescono a convivere senza contrastarsi, in cui la tradizione e la contemporaneità procedono insieme e spesso si incrociano con risultati sorprendentemente positivi (si pensi, in questo senso, alla mostra di Andrea Roggi, al Museo civico proprio in questi giorni).

Camminando per via di Città, sono entrato nell’atrio di Palazzo Chigi Saracini, nella speranza che da qualche finestra arrivasse il suono dello strumento di uno studente impegnato in un corso estivo, così da mostrare ai miei figli quanto fosse bello l’incontro con l’arte, o con lo studio e la ricerca, anche durante la quotidianità di una passeggiata. E l’antico palazzo mi ha fatto una sorpresa. Mi ha proposto un aperitivo con i miei figli, al ChigianArtCafè, al suono di due chitarre. E che chitarre! Fabio Renda e Beniamino Trucco, allievi del corso di chitarra e musica da camera di Oscar Ghiglia, impegnati in un programma insolito, soprattutto per noi che non viviamo in una città come Siena: le Variazioni concertanti op. 130 di Mauro Giuliani e una Toccata di Pierre Petit. I due giovani chitarristi hanno mostrato una precisione colta, non solo tecnica, nel restituire le intenzioni dello spartito e, soprattutto, una felicità musicale nel correre insieme sulla linea del tempo, di tenersi accanto, nell’esecuzione, e di godere di quanto riuscivano ad ottenere dai loro strumenti. I due ragazzi che erano con me, i miei figli, al tavolo accanto a quello del maestro Ghiglia, sono stati penetrati dalla bellezza dell’esecuzione dal vivo, dalla differenza che c’è tra un concerto e l’ascolto digitale. Così, quando al termine della performance dei bravissimi Renda e Trucco il pubblico è stato informato del concerto del Coro della Cattedrale a Sant’Agostino, sono stato costretto a modificare i miei piani di viaggio per la richiesta che mi veniva fatta di partecipare all’evento della sera. Alle 21:00, siamo entrati nella chiesa di Sant’Agostino per ascoltare il Coro diretto da Lorenzo Donati. Le musiche di Thomson, Copland, Barber, Tippet e Lauridsen, anche queste difficili da trovare nel programma di un concerto, hanno riempito lo spazio sacro della chiesa con un equilibrio di volumi che con estrema facilità provocava emozione, oltre che godimento estetico. Da solo o accompagnato dal pianoforte di Elisa Pasquini, il Coro ha interpretato le musiche in programma, le ha sentite prima di farle sentire, e la tecnica dei singoli cantanti, così ben gestita dal direttore, mai si evidenziava come fine ma sempre come strumento per porgere bellezza, una bellezza che diventava respiro necessario non solo per me e per i miei figli ma per tutto il pubblico presente. Insomma, in poche ore, Siena ha fatto ciò che avrei voluto e dovuto fare io con i miei figli (ma quanto sarebbe stato difficile!). Ha spiegato loro, senza parole, che l’esistenza può essere piena solo se l’ambiente in cui si vive tiene nella giusta considerazione la cultura, la musica, l’arte. Così, di ritorno verso l’albergo, mi sono emozionato a immaginare quanti ragazzi, ora adulti, sono stati segnati da questa città. Avrei voluto dire ai miei figli delle mie esperienze con Vittorio Sforzi, delle Mille Giubbe Blu di Alessandro Fo, di Emiliano delle Messaggerie Bassi, del signor Tonino che incontravo al Grattacielo… Ma loro camminavano in silenzio, accanto a me, e forse riflettevano sulle loro vite, sulle loro aspirazioni, sul futuro. Così ho deciso di rimanere in silenzio anch’io, lasciando che a parlare fosse ancora questa città strepitosa.

Giovanni Petta 

 

 
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