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GIGI LUSINI: "FOTOGRAFO È COLUI CHE HA L’IDEA DI FOTOGRAFIA"

News inserita il 22-08-2019

Una conversazione sulla natura di questa forma artistica con un grande esperto in materia

                                

Siamo nell’Era dell’Immagine. Quando sento questa locuzione mi risulta difficile non annuire. Forse più di prima, forse come non mai, l’immagine è la costante della vita quotidiana del nuovo millennio. Dalla televisione passando alla pubblicità e ai social media siamo continuamente bombardati di immagini, e non solo. Grazie ai nostri telefonini e computer, siamo diventati produttori di immagini, che non restano nei nostri album dei ricordi o chiuse nei cassetti, ma vengono proposte e a volte pensate attentamente per un pubblico. Ogni giorno milioni di persone raccontano la propria vita e condividono emozioni ed esperienze mediante le immagini. C’è chi, gli influencers, ha fatto di questo un lavoro. E proprio per sondare un po’ più in profondità questo fenomeno, che riguarda molto da vicino buona parte della popolazione mondiale, ho voluto parlare con un grande fotografo che quando si tratta di immagine e comunicazione sa bene di cosa si parla: Gigi Lusini. Buona parte della sua esperienza in materia è nota ai senesi; amante e ritrattista del Palio, i suoi scatti inquadranti gli aspetti più intimi della nostra Festa sono celeberrimi. Il resto è un connubio di lavori e commissioni, che sono sfociate anche all’estero per delle riviste inglesi e per la BBC, progetti, ricerca artistica personale e tanta, tanta passione. Io che l’ho incontrato nutrendo una forte curiosità nell’analizzare le radici di una tendenza globale, non ho potuto fare a meno di iniziare la nostra conversazione confermando il mio andare a ritroso e chiedendogli quale fosse l’origine della sua passione per la fotografia. Una delle prime folgorazioni l’ha avuta guardando il film Blow Up di Michelangelo Antonioni con protagonista un fotografo e la sua Nikon «che in confronto alle macchine che erano in giro negli Anni Sessanta era un mostro, bellissima». Gigi rivela di aver sempre avuto un’attitudine artistica poiché prima di avvicinarsi alla fotografia dipingeva e disegnava, ma non riusciva ad accontentarsi. Però quella pulsione nel rappresentare le cose rimaneva, soprattutto i paesaggi, segno che probabilmente non aveva ancora scoperto la sua maniera prediletta di esprimere questa sua vocazione: «la fotografia mi apparve come una possibilità per fare qualcosa di mio. Era un mezzo, non un fine».

                                   

Dopo l’iniziale scintilla scattò l’amore, provocato dalla visione, nell’arredo di una vetrina, di un’immagine di due fidanzati in cammino lungo la strada di Vescona, scattata da quello che ha definito essere un suo riferimento e mentore, Gianni Berengo Gardin: «Non so se ha toccato un nervo freudiano o qualcos’altro, secondo me quella è la prima fotografia della mia vita». Ma che cos’è la fotografia? Questa è la domanda che sorge spontanea durante la nostra conversazione e a cui ci poniamo l’obiettivo di rispondere. Perché oggi, affermo io un po’ provocatoriamente, sembra che chiunque possa improvvisarsi fotografo; basta comprare una macchina, un computer, scaricare un programma di postproduzione ed il gioco è fatto. Eppure una differenza tra una fotografia e un’immagine con livelli massimi di saturazione e definizione c’è ed è evidente ed entrambi abbiamo convenuto nel dire che quella differenza si chiama “idea”: «La fotografia ha bisogno di un fotografo per esistere. Oggi si sta contrabbandando per fotografia ciò che non è fotografia. Il telefonino è uno strumento come un altro per scattare, con grandi limiti, ma anche con grandi possibilità. Il problema è che se lo metti in mano ad una persona che soffre di analfabetismo funzionale, quindi legge ma non rielabora ciò che ha letto, vede le immagini e non le capisce, come fa a decidere quando scattare? Si limita a fare una scansione della realtà. La gente compra le macchine fotografiche con l’illusione che la macchina migliore faccia le foto migliori. Ma se tu dovessi scrivere un romanzo, lo fai con una Bic o con una Montblanc? Non cambia assolutamente nulla se non sai scrivere, sei non hai idee».

                                   

E le idee, aggiungo, si nutrono anche di cultura. Oggi questo aspetto, purtroppo, viene quasi completamente sottovalutato e ignorato in ogni campo, soprattutto in quello artistico; siccome i mezzi per realizzare un prodotto creativo sono sempre di più, non solo metaforicamente, a portata di mano, ci si sente in dovere di imporre la propria voce, a volte ignorando, arrogantemente, i linguaggi e la storia di quella forma d’arte, totalmente inconsapevoli di quello che si sta facendo. Ma se c’è una cosa che l’arte disprezza è proprio l’inconsapevolezza; tornando alla fotografia, dietro un’immagine autentica c’è cura, consci e inconsci riferimenti culturali, filosofia, presa di posizione esistenziale, studio. Per questo sono stata onorata quando Gigi ha accettato di collaborare visivamente al mio progetto musicale; dietro ai suoi scatti c’è un’attenta riflessione, che è assente in molti presunti fotografi. Purtroppo c’è un’ignoranza generale che non suscita vergogna, ma è esaltata anche con una certa dose di vanto. «Il digitale è apparso come una rivoluzione epocale, ma è solamente cambiato un mezzo; la pellicola è digitale. Basta. Oggi una persona tende a fare con il telefonino più foto possibile e “il più possibile” significa a bassa risoluzione. Oggi viviamo tutto a bassa risoluzione; musica, arte, fotografia, intelligenza. Ci accontentiamo. Anche perché se vuoi uno strumento ad altissima risoluzione spendi moltissimo; un obbiettivo più avanzato, solo perché è più luminoso, lo paghi tremila euro. Ma la differenza non c’è. Che te ne fai di un obbiettivo da tremila euro se poi posti le foto su Facebook, che è a bassa risoluzione? C’è l’ignoranza più totale. La fotografia è un’altra cosa. Io mi batto da anni perché si riesca a dividere, cito la Bibbia, la paglia dal grano».

                                     

Comprensibile dunque la sua successiva invettiva contro lo scatto continuo o “scarica”: «Come fai a pretendere che sia una fotografia fatta da te? Parliamo di Palio; prendi un cavallo e lo accompagni nella corsa con la macchina che scatta da sola fino alla Fonte. Poi prendi un fotogramma e dici: questa foto l’ho fatta io. Sarei contro la tecnologia? No. Un grande fotografo e filosofo, Efrem Raimondi, disse che fotografo è colui che ha l’idea della fotografia, non colui che fa fotografie e più ha un’idea fissa e più questa lo identifica. Se te fai cinquanta fotografie in dieci metri ad un cavallo che corre e poi scegli lo scatto migliore, non è una fotografia ma un laboratorio». E qui fa l’esempio di due sue famose immagini di Palio; la mossa dell’Istrice con il canape che passa ad un centimetro dall’obbiettivo e la vittoria del Montone in cui il nerbo del fantino è esattamente in linea con il Bandierino: «Quelle sono cose che io ho cercato. Ho uno scatto solo. È probabile che se fai la scarica non riesci nemmeno a beccarle perché non controlli la macchina. Dunque, che cos’è la fotografia? Una sintesi di ciò che io vedo nel mondo e che io ti propongo sperando che tu provi le stesse emozioni che io ho provato facendo quello scatto. È un racconto. Io non mi sento un artista, mi sento un aedo, un cantastorie. Sono un sognatore. La fotografia è la comunicazione di un’emozione. Vado a cercare la mia interpretazione. Due che si baciano è un bel quadro, magari con il sole sullo sfondo, ma è un’immagine scontata. Quante foto abbiamo visto di due che si baciano con il sole nel mezzo?».

                              

Dopo aver risposto in maniera abbastanza soddisfacente al quesito iniziale sulla natura della fotografia, la discussione si è spostata su un genere molto ampio di questa complessa forma artistica; il ritratto. Mi ricordo che una volta rimasi colpita da una frase di Gigi che è questa; farsi fotografare è come andare dallo psicologo. Alla mia domanda su cosa intendesse esattamente dire con quella affermazione mi risponde: «Quando una persona si fa fotografare spesso assume una postura e ha uno sguardo che pensa che siano i migliori per quelli che la guarderanno; devo apparire bello/a, ma non arrogante, dolce, ma non mieloso/a…E tutto questo invece di migliorare la sua espressione, la peggiora, facendole assumere un aspetto vacuo che non la rappresenta. Allora la gente dice: “vengo male in fotografia”. Ma perché non vieni rappresentato per come sei. La soluzione allora è una buona sinergia con il fotografo, che deve stimolare il soggetto cercando di interpretarlo. Il ritratto è una seduta di psicoanalisi perché devi dire chi sei e spesso o non lo sappiamo o se lo sappiamo non lo gradiamo molto e perciò cerchiamo di assumere un’immagine che ammiriamo. Il fotografo non si deve accontentare che il soggetto gli racconti chi vuole essere, deve rompere le scatole. Una delle fotografie più famose è di Newman e ritrae Churchill che era sempre con il sigaro in bocca. La leggenda narra che Newman preparò tutte le luci e prima di scattare tolse il sigaro di bocca al ministro, che lo guardò con quella cattiveria che lo caratterizzava, e scattò. Il fotografo deve interferire in questa maniera». In conclusione alle nostre riflessioni Gigi mi suggerisce, per approfondire questi concetti, di leggere la Camera Chiara (https://issuu.com/bdi.siena). Oltre ad essere un’importante opera di Roland Barthes, da inserire nell’elenco delle letture, è anche il giornale online che viene pubblicato regolarmente ed è gestito da Gigi e dai membri del circolo culturale La Bottega dell’Immagine, con il contributo di corrispondenti da tutta Italia e perfino dalla Polonia e dal Giappone. La rivista rappresenta la sintesi dell’attività del gruppo, che ha come scopo non solamente la fotografia, ma anche lo studio della produzione e della comunicazione visiva e anche la ricerca di una forma di socialità tra persone che condividono la passione per questa espressione artistica così complessa, ma anche così carica di fascino; vanno a vedere mostre, collaborano a progetti e organizzano incontri e seminari. «La Bottega dell'Immagine è la Chiesa della fotografia senese» conclude Gigi e io aggiungo che rappresenta una delle perle artistiche e culturali della nostra città. 

                         

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Per leggere La Camera Chiara questo è il link: https://issuu.com/bdi.siena

Francesca Raffagnino

 

 
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