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GIRO D'ITALIA, L'ULTIMA VOLTA A SIENA NEL LONTANO 1986

News inserita il 03-05-2018

Trentadue anni fa la tappa a cronometro con arrivo in Piazza del Campo, dominata dal polacco Piasecki

Lech Piasecki ha compiuto 57 anni lo scorso 13 novembre. Da qualche tempo si è tagliato i baffi, evidentemente non segue molto le ultime tendenze della moda maschile (e comunque il suo non era un baffo di quelli “a penna”, stile Brad Pitt, bensì il classico chevron alla Freddie Mercury, o alla Magnum P.I., tanto in voga fra i ragazzi dell’est Europa nei primi anni Ottanta), in compenso non ha perduto l’abitudine a spingere forte sui pedali, nonostante si sia ritirato dalle corse da oltre un quarto di secolo.
A proposito, chi è Lech Piasecki? Forse sarebbe meglio chiedersi chi era Lech Piasecki, perché se è vero che oggi questo gioviale signore polacco gestisce un rinomato showroom di bici in patria, a Gorzòw (siamo a metà strada fra le rive del Baltico ed il confine con la Germania), allena un team di amatori delle due ruote, fa parte del comitato che organizza il Giro di Polonia e, ogni tanto, lo si vede sulla tv nazionale (quella polacca, of course) a commentare qualche corsa, scartabellando gli almanacchi del ciclismo si trova un Lech Piasecki iridato su strada fra i dilettanti nel 1985 e miglior pistard del mondo tre anni più tardi, quando già era passato professionista. E’ lo stesso Lech Piasecki, ovviamente, e nel suo palmares si trovano anche un paio di giornate trascorse in maglia gialla al Tour de France, era il 1987, oltre a quattro tappe vinte al Giro d’Italia: prima delle quali, la cronometro del 23 maggio 1986 partita da Sinalunga e conclusasi a Siena, in Piazza del Campo, diversi anni prima che il boom delle Strade Bianche (senza dimenticare l’Eroica) risvegliasse nella nostra città quella “coscienza ciclistica” che oggi sembra andare per la maggiore.
Lasciamolo da parte per un attimo, Piasecki, lo ritroveremo a breve e con tanto di baffi. La macchina del tempo ci dice che il 23 maggio 1986 è un venerdì, che sono passate quattro settimane dal disastro nucleare di Chernobyl, che siamo nel bel mezzo di una crisi diplomatica fra Italia e Libia perché a metà aprile Gheddafi ha sganciato due missili su Lampedusa, che una settimana dopo gli Azzurri batteranno il calcio d’inizio del loro mondiale messicano, assai deludente. Per un giorno, però, Siena non ha occhi che per il Giro, avvolta da una calura quasi estiva e sorvolata sin dal mattino dal ronzio dell’elicottero Rai: le scuole hanno chiuso alle 10.30 (sui banchi sono arrivate le penne, rosa, regalate dalla Gazzetta, perfette per andare a caccia di qualche autografo: selfie è una parola che ancora non esiste, neppure sul vocabolario d’inglese), turisti e appassionati sono arrivati da tutta la Toscana, e non solo, ma si parla principalmente senese nel fiume di gente che, ora dopo ora, si ingrossa fra Porta Romana e Pantaneto. Poi c’è il Campo, vestito a festa seppur con una mescola di “sacro e profano” che oggi creerebbe più di un mal di pancia: striscioni ovunque sulle ringhiere delle terrazze (uno, enorme, inneggia a Francesco Moser, che a Siena evidentemente va per la maggiore: basti pensare alla scritta “W Moser” vergata proprio quel giorno sui muri dei curvoni di via Aretina, che si intravede ancora oggi seppur sbiadita dal tempo), anche e soprattutto quelli appesi dall’organizzazione della corsa per reclamizzare i propri sponsor, i quali compaiono pure sulle staccionate (sì, proprio quelle staccionate: oggi sarebbe stato un diluvio di dislike sui social, ai tempi chi si arrabbiava andava a chiedere spiegazioni mettendoci la faccia, non la faccina, e comunque le polemiche furono minime) montate dal Comune tra un colonnino e l’altro per ragioni di sicurezza.
La giornata è memorabile per mille motivi. Intanto perché il Giro è sempre il Giro e figuriamoci cosa diventa quando al prestigio della corsa rosa si aggiunge il fascino, incredibile, di un arrivo all’ombra della Torre del Mangia. A proposito, il traguardo è all’altezza di Fonte Gaia: per i ciclisti si tratta di entrare nella conchiglia dal Chiasso Largo, scendere San Martino, farsi la “spianata”, girare il Casato e poi sprintare a tutta sotto il palco della premiazione, sul quale ogni tanto si intravede quel mito assoluto del giornalismo sportivo che risponde al nome di Adriano De Zan. Uno alla volta, in tarda mattinata, iniziano ad arrivare i velocisti e i gregari. Sfilano la maglia ciclamino di Guidone Bontempi, i sempreverdi Gavazzi e Masciarelli (suo nipote, nato una dozzina di anni dopo quella tappa, fa il cestista ed ha giocato fino a dicembre 2017 nella Mens Sana), taglia affaticato il traguardo l’olandese Van der Velde (diventerà celebre, due anni dopo, per aver imboccato in fuga solitaria la salita del Gavia ed essere poi scomparso dentro una tempesta di neve: arrivò a destinazione con 47 minuti di ritardo, mentre in tv passavano i titoli di coda del Processo alla Tappa), arriva fra gli applausi Stefano Colagé, parente di quel Dario Colagé che è fresco di esordio sul tufo di Piazza (mesi prima ha corso una prova nella Pantera sull’irrequieto Bizzarro: inutile dire chi fra i due riscuoterà maggior popolarità a Siena), il boato accoglie la maglia verde di un giovanissimo Gianni Bugno: ha 22 anni, lo portano in trionfo una trentina di fedelissimi arrivati per lui dalla Lombardia (su uno striscione hanno scritto “A Merano il 2 di giugno, maglia rosa sarà Bugno”: in realtà, al traguardo conclusivo di Merano, Bugno arriverà 41esimo con oltre un’ora di distacco, ma le qualità del futuro due volte campione mondiale si intravedevano), lo bracca e lo catechizza in maniera simpatica Gino Bartali, che è fortissimamente legato a Siena. Prova ne siano le due maglie gialle di vincitore del Tour de France, 1938 e 1948, che il grande campione nato a Ponte a Ema aveva regalato anni prima come ex voto al parroco senese Don Bruno Franci, e che sono ancora oggi esposte nella Chiesa di Santa Petronilla. A proposito di maglie gialle, nel primissimo pomeriggio sul traguardo di Piazza del Campo ne sfreccia una a tutta velocità. Il giallo è il colore della Del Tongo-Colnago, la squadra di Beppe Saronni, e quella è la maglia di Lech Piasecki: ha spinto senza prendere fiato per tutti i 46 km del tragitto Sinalunga-Siena, il polacco, letteralmente volando sugli strappi finali di via Aretina e via Piccolomini e trovandosi a suo agio su quello strano “pavé” che tappezzava gli ultimissimi metri di corsa, la pietra serena delle lastre cittadine. Il cronometro dice per Piasecki 59 minuti e 4 secondi, significa aver tenuto un’andatura media di poco inferiore ai 50km/h, insomma un vero e proprio treno in corsa, ma su due ruote e senza motore.
Iniziano ad arrivare quelli che il Giro vogliono portarlo a casa ma nessuno riesce a batterla, la super prestazione di Piasecki. Gli si avvicina solo il bresciano Roberto Visentini, che chiude in 59’11” ed inizia a risalire in classifica, mentre il quotatissimo yankee Greg Lemond soffre gli ultimi saliscendi e nel finale e arriva con 40” di ritardo, Francesco Moser in giornata storta becca 1 minuto e 20 secondi, il vecchio “GiBi” Baronchelli 1’30”, Giupponi dice addio ai sogni di gloria ritrovandosi, da secondo, decimo in classifica generale. Arriva finalmente la maglia rosa, la indossa (e la mantiene) Beppe Saronni: paga dazio pure lui finendo terzo a 30” dal vincitore, quando scende dalla bici che monta due caratteristiche ruote lenticolari tricolori è stremato dalla fatica ma Lech lo abbraccia, del resto è il suo capitano, e assieme salgono sul palco per le premiazioni.
La carovana rosa saluta Siena la mattina dopo, con un suggestivo serpentone di ciclisti e bici che si snoda lungo il Corso ed inizia una tappa, interlocutoria, che arrivo a Sarzana. Tre giorni dopo, sulla salita di Foppolo, il Giro d’Italia 1986 cambia padrone: Visentini prende la maglia rosa e non la lascia più, incoronato vincitore sul traguardo di Merano, Saronni è secondo a 1’02”, Moser terzo a 2’14”. Lech Piasecki, invece, finisce al sessantacinquesimo posto, staccato di 1 ora e 44 minuti. Continuerà a correre, ed a vincere tappe (soprattutto a cronometro), per qualche anno. Si ritirerà nel 1991, neppure trentenne.
Prima di quel 23 maggio 1986, il Giro d’Italia aveva fatto tappa a Siena già in altre sei occasioni. La prima nel lontanissimo 1913, percorso Genova-Siena e vittoria di Eberardo Pavesi, poi nel 1929 (Orvieto-Siena, vittoria di Mario Bianchi), nel 1948 (Viareggio-Siena, vince Adolfo Leoni arrivando sulla pista in terra battuta del Rastrello), nel 1952 (Montecatini-Siena, successo di Antonio Bevilacqua), nel 1957 (Roma-Siena, primo classificato Miguel Poblet ancora sulla pista dello stadio) e nel 1978 (Assisi-Siena, sprint vincente sotto la Fortezza di Francesco Moser). Dopo la cronometro di 32 anni or sono, la corsa rosa non ha più fatto tappa a Siena. Non lo farà neppure in questa edizione 2018, che scatta fra qualche ora in Israele e non prevede transiti in terra toscana.
Matteo Tasso

 

 
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