L’ala biancoverde si racconta alla vigilia della trasferta di Arezzo: “Scelsi di non fare il professionista per diventare architetto”
Quindici anni fa, giorno più giorno meno, Alessandro Pucci si trovò a mettere piede in campo in una semifinale per lo scudetto. La Mens Sana si avviava verso il quarto tricolore della propria storia, e lui, diciassettenne di belle speranze aggregato un paio di volte alla prima squadra in quella serie contro la Benetton, fu gettato nella mischia sul finire di gara-3: non andiamo oltre, arriveremmo ultimissimi nell’intervistarlo, ancora una volta, su quei 20” giocati sotto lo sguardo di coach Pianigiani, di McIntyre, Kaukenas, Lavrinovic e compagnia cantante, o su quel tiro (“un tiraccio ovviamente – ha raccontato di recente a “Sempre Ovunque Comunque”, il giornalino che IoTifoMensSana distribuisce al palasport – ma almeno il ferro lo presi!”) tentato poco prima che la sirena del palasport spedisse in finale l’allora Montepaschi. Ci concentriamo, invece, sull’Alessandro Pucci che da tre mesi è tornato a indossare la maglia biancoverde e che, tra il 2009 e il 2024, si è costruito una reputazione di tutto rispetto nelle minors cestistiche, oltre a progettare un percorso di vita fatto di bellezza e solidità, ciò che contraddistingue la sua professione di architetto.
Pucci, togliamoci subito il dente.
“C’è rammarico, non lo nego. Abbiamo fatto la partita che avevamo programmato di fare, partendo bene e tenendo forte in difesa: una squadra di livello come il Costone, che in casa viaggiava a 92 punti di media, ne ha segnati 66, alla fine però non li abbiamo portati noi i due punti a casa”.
Cosa è mancato alla Mens Sana?
“Ci ha limitati un po’ di nervosismo, che in partite del genere va messo in conto e saputo gestire. Metto sul piatto la maggior esperienza dei nostri avversari, anche qualche episodio che potevamo sfruttare meglio. Peccato, ma si deve guardare avanti”.
Tutti stanno facendo i bilanci di metà stagione. Qual è il suo?
“Se escludiamo un paio di gare nelle quali proprio non siamo scesi in campo, le altre ho avuto la sensazione di poterle vincere tutte e questo genera qualche piccolo rimpianto. Al tempo stesso bisogna essere sinceri e considerare anche un paio di risultati non messi in preventivo, vedi trasferta a La Spezia e vittoria in casa con Empoli, quindi tirando le somme i 12 punti in classifica alla fine del girone di andata sono un bilancio molto positivo”.
Adesso, però, queste cifre è necessario confermarle…
“Sono fiducioso, la qualità del lavoro che stiamo portando avanti è molto buona, il gruppo si è creato abbastanza in fretta, c’è alchimia, c’è coinvolgimento da parte di tutti. Certo dobbiamo replicare quanto di buono fatto fino a oggi, questa B Interregionale è un campionato molto difficile, lo stiamo vedendo partita dopo partita”.
A Siena ha ritrovato Paolo Betti, quanto ha pesato la sua presenza nella scelta di dire sì alla Mens Sana?
“L’ho avuto come coach per tre anni a Castelfiorentino, mi sono trovato molto bene con lui sul piano del basket, ma pure su quello umano: mi conosce, sa quali sono le mie caratteristiche, c’è un rapporto di amicizia che va oltre il campo e questo sicuramente ha pesato. Personalmente cercavo nuove strade dopo che a Castelfiorentino era finito un ciclo e la Mens Sana non può non essere uno stimolo assoluto per un giocatore di pallacanestro: a maggio sono venuto al palasport per le finali di C, ho visto un ambiente incredibile, pensare di poter essere io a rappresentare questi colori e tutta questa gente è stata, quando ho firmato, una sensazione super”.
Ciclo finito in bellezza, con l’Abc. Vi siete salvati quando vi davano per spacciati, già a metà stagione…
“Una vera impresa. Cinque sole vittorie nella prima fase, quattro delle quali ininfluenti ai fini dei punti da portarsi dietro nella seconda, poi ne abbiamo vinte sette su otto e ci siamo confermati in categoria. Probabilmente il livello delle avversarie del girone Lombardia Piemonte non era altissimo, però rimane il fatto di non essere neppure dovuti passare dai playout dopo una stagione caratterizzata da scossoni, come il cambio di allenatore, e dal rischio di sbracare dopo tutte quelle sconfitte”.
Da Castelfiorentino è arrivato anche Andrea Belli. Che rapporto avete?
“Quando cinque anni fa sono arrivato all’Abc, Andrea era solo un ragazzino ma si vedeva benissimo che aveva grandi qualità tecniche e di carattere, non a caso oltre a diventare un giocatore super per questa categoria è stato scelto pure come capitano della squadra. Diciamo che l’ho visto crescere a 360 gradi, in campo e come persona, in estate ci eravamo parlati e sono molto felice di averlo ritrovato alla Mens Sana: lo scorso anno è stato il miglior play del girone, anche qui la sua presenza è e sarà fondamentale per far bene”.
Il suo sport è stato il basket da sempre?
“Ho iniziato a casa, a Poggibonsi, col minibasket e sono arrivato fino all’Under 14, che in quel periodo (primi anni Duemila, ndr) era già composta a metà con ragazzi di Colle per riuscire a disputare campionati Eccellenza”.
Nicola Pucci, suo padre, è anche il presidente del Poggibonsi Basket…
“Mi ha sempre portato a vedere il basket, fin da piccolissimo. Da giovane ha giocato pure lui, a Poggibonsi, ma dovette smettere per un infortunio: quando fu coinvolto nella gestione del club, la società viveva un momento di grandi cambiamenti e l’idea era far parte di un cda nel quale le responsabilità fossero ben distribuite. Le cose, in realtà, sono andate in maniera un po’ diversa e lui, ormai, fa il presidente da quindici lunghi anni: nonostante tutto, è un compito che continua a portare avanti sempre con la stessa grande passione dei primi tempi”.
Chi fu a portarla nel settore giovanile della Mens Sana?
“Nell’ultimo anno di Under 14 Eccellenza a Colle mi allenava Andrea Zanotti, che aveva contatti con la Mens Sana e che mi propose, assieme al mio compagno di squadra Vincenzo Capaccio, in prestito al settore giovanile biancoverde”.
Il suo gruppo, quello del 1992 allenato da Giulio Griccioli, arrivò due volte in finale scudetto. Che ricordi si porta dietro?
“Sono state esperienze molto belle, disputare una finale nazionale è il massimo che puoi chiedere a livello giovanile. Avevo davanti giocatori molto forti, ma i ricordi anche personali sono più che positivi: rimane il dispiacere di non aver portato a casa il titolo, nella finalissima contro Pesaro perdemmo con un canestro subito all’ultimo secondo, dettagli ed episodi non fortunati”.
I 20” di gloria in prima squadra abbiamo deciso di non raccontarli, di quel vissuto, però, cosa le è rimasto?
“L’ambiente che si respirava era il massimo del livello raggiungibile per una società di pallacanestro. Mi allenavo quasi sempre prima che lo facessero i grandi campioni di quell’epoca, a volte ci veniva data l’opportunità di rimanere a vederli, capitava che Pianigiani, o Banchi, o qualche giocatore, passandoti vicino, ti dicessero qualcosa, ti facessero battuta scherzosa: per un ragazzo come me, nato e cresciuto a Poggibonsi senza aspettative eccessive verso la pallacanestro, ritrovarsi in un simile contesto era fantastico”.
Ci racconta la scelta di vita che l’ha portata a giocare, da senior, sempre vicino a casa?
“Venni via dalla Mens Sana senza chiudere l’ultimo campionato Under 19, non fu un’annata positiva per vari motivi, poi iniziarono le chiamate da fuori con alcune opportunità di iniziare fare il giocatore professionista: decisi invece di privilegiare i miei studi, di dedicarmi alla facoltà che avevo appena scelto di frequentare e di costruirmi la professione che oggi svolgo, quella di architetto. Per questo motivo ho sempre giocato per società geograficamente vicine a casa, società che comunque mi hanno permesso di giocare a buoni livelli come la C Gold e la B”.
Chi la conosce da sempre, dice che avrebbe potuto ambire a una carriera cestistica diversa. Rimpianti?
“Forse avrei potuto raggiungere qualcosina in più nel basket, è vero, però il mio obiettivo è stato un altro e sono stato felicissimo di aver portato a termine gli studi e di essermi creato un futuro lavorativo fuori dal parquet. Qualche mio ex compagno di giovanili che ha fatto scelte diverse, e che ha provato a fare quel percorso, ha incontrato difficoltà: quando resti nel limbo della serie B o della C puoi anche pensare di fare il professionista, ma devi essere disposto a viaggiare molto e purtroppo anche a fare i conti con ritorni economici non soddisfacenti”.
Vittorio Tognazzi, suo compagno già anni fa a Certaldo, dice che lei parla poco ma quando lo fa è molto ascoltato da tutti…
“Confermo, non sono un grande oratore, però se c’è da dire una cosa alla squadra, o da mettere un punto fermo su certe situazioni, sento di poterlo fare. I compagni credo ormai abbiano imparato a conoscermi, sanno che non sono uno che fa pesare in allenamento il fatto di avere qualche anno in più di esperienza in campo o pretendere chissà cosa solo per questioni anagrafiche: in giro ce ne sono, ne ho conosciuti molti anche io, non è il mio caso”.
Quindi, a 32 anni compiuti da qualche giorno, si trova ad essere il “grande vecchio” della Note di Siena?
“All’inizio ero un po’ disorientato, sono sincero, anche perché fino alla scorsa stagione sono sempre stato abituato a giocare con compagni della mia età o anche più esperti. È vero che gli anni passano, qui però i ragazzi sono quasi tutti molto più giovani di me e ho dovuto farci l’abitudine: mi sto trovando bene, mi piace avere anche il ruolo del più vecchio della squadra quando si tratti di aiutarli a crescere o di spronarli nei momenti di difficoltà”.
Dall’alto dei suoi quasi quindici anni da senior, non le avrà fatto grande effetto ritrovarsi a giocare con quasi 1500 tifosi dalla sua parte…
“Non direi proprio, per una vita ho giocato davanti a massimo 3-400 persone, i numeri del seguito della Mens Sana non esistono da nessuna parte in queste categorie. È molto bello, è uno stimolo incredibile anche se va saputo gestire nel modo giusto: i nostri tifosi, in casa ma pure in trasferta, ti danno una spinta e una carica clamorose, ripeto è qualcosa di impensabile a certi livelli”.
Domenica ad Arezzo vi attende uno snodo cruciale della stagione?
“È una partita importantissima, quasi fondamentale. Vincerla significa andare + 4 in classifica, con lo scontro diretto a favore. Arezzo però è forte, è una squadra dal grande potenziale e viene anche da periodo non buono: in questi frangenti si cerca sempre di dare il tutto per tutto, dobbiamo aspettarci anche questo da chi affronteremo. Sarà importante mettere in campo la stessa attitudine mostrata con Empoli o, almeno sul piano difensivo, con il Costone”.
Matteo Tasso
Foto Mens Sana Basketball