Nuovo album per i re incontrastati della dark-wave post-punk
The Cure: "Songs of a Lost world". Tornano dopo 16 anni i re incontrastati della dark-wave post-punk e Robert Smith con i suoi tempi dilatati ci regala un album di ottima fattura, o almeno per tutti quelli che si aspettano tanto da loro. Cresciuti a pane e malinconia, cantano il buio di chi sa che c'è la luce. Se è rock è assai colto e riflessivo ma in realtà è molto di più, perché una "cult-band" ha degli adepti che sfiorano il culto religioso. Apre l'album "Alone", ti colpisce nell'anima con un cazzotto ed inizi a volare nello "spleen" e nel tedio con parole come : "questa è la fine"...un tappeto di tastiere con un pizzico di chitarra e la voce di Robert lamentosa come sempre. I brani non hanno certo un minutaggio da musica pop, con pezzi che arrivano anche a 10 minuti come quello di chiusura. Ci sentiamo di segnalare la traccia 3 "A fragile things" dal testo struggente e dalla melanconicità accattivante; il piano apre con due note e continua per tutta la canzone, qui si fa presente il basso di Simon Gallup equalizzato come sempre alla sua maniera, i soliti effetti per la chitarra di Robert e un assolo appena accennato nel finale dall'altro chitarrista. Chiude "End Song", di doverosa segnalazione ma il resto vogliamo anche lasciarlo all'ascolto delle vostre orecchie. L'opera forse non raggiungerà i fasti di "Disintegration" o "Blood flower", tanto per citarne due, ma ci pare veramente un bel lavoro ad iniziare dalla copertina. Buon ascolto!
Simone Benvenuti