OK MUSICA: LA GERBERETTE, LA COINVOLGENTE ENERGIA DELLA BAND SENESE

News inserita il 04-12-2018 - Ok Siena - Rubrica OK musica

"Costruirsi un seguito di persone che apprezzano il tuo lavoro e la tua musica concerto dopo concerto, canzone dopo canzone, video dopo video, è un processo lungo ma che ripaga con l’autenticità e la sincerità delle loro emozioni"

                                           

Ok Siena, nella rubrica Ok Musica, dedica spazio agli artisti del nostro territorio. 

La Gerberette è una band senese formata dal cantante e chitarrista Alessio Orrico, dal contrabbassista Filippo Turillazzi, dal percussionista Giulio Piane e dal chitarrista Riccardo Fratarcangeli. Nel 2014 hanno pubblicato il loro progetto d'esordio, "Il sudicio del mare", e nel 2016 un secondo EP di 7 tracce, "L'Apocalisse ci troverà in pigiama", finanziato grazie ad una campagna di crowfunding con MusicRaiser. L'avvolgente energia e vitalità della loro musica, che miscela sapientemente suoni ruvidi e ritmi ironici, sempre sostenuti da una meticolosa tecnica esecutiva, li ha portati a calcare numerosi palchi e a fare da apertura a band come Matrioska e Nobraino, collezionando molte esperienze live, tanto da fare della dimensione dal vivo il loro ambiente naturale.  

Avete scelto “La Gerberette” come nome rappresentativo del vostro progetto; perché?

PIPPO: Il nome non ha nessun significato particolare, la "gerberette" è semplicemente una trave. Cercavamo uno pseudonimo che già dalla pronuncia ci facesse pensare alla nostra musica per il suono più che per il significato ed eravamo in cerca di qualcosa che sapesse di “francese”, che rievocasse un po' la vena cantautoriale più romantica delle nostre canzoni.

Come vi siete avvicinati alla passione per la musica e quali sono stati i vostri percorsi?

GIULIO: La passione per la musica ci accompagna sin da piccoli, i nostri genitori amavano e amano la musica e in casa non mancava mai. Ci siamo avvicinati allo strumento nel periodo delle scuole medie e nel corso degli anni abbiamo frequentato diverse scuole di musica e preso anche lezioni private.

Come si è formato il gruppo?

PIPPO: Il gruppo nasce un po' per caso; c'era la voglia di fare ma non trovavamo la strada giusta. Una pasta speck e fichi, due chitarre e una piazza ci hanno preso per mano e ci hanno fatto imboccare il sentiero dissestato della Gerberette.

Quali sono le vostre icone musicali e gli ascolti che vi hanno maggiormente influenzato?

ALESSIO: Veniamo da ascolti molto diversi che spaziano dal pop anni '80 al cantautorato italiano passando per il metalcore e il jazz. Personalmente credo di essere influenzato per l'approccio live e il bisogno di “sudare” sullo strumento dalla mia adolescenza da metallaro, mentre per quanto riguarda la scrittura la principale fonte di ispirazione è l'italianità. Mentre scrivevamo il nostro primo EP ascoltavo in loop “Amore e non amore” di Battisti.

A cosa vi ispirate nella scrittura dei vostri testi? Quali messaggi volete comunicare con la vostra musica?

ALESSIO: I testi non hanno un filo conduttore per quanto riguarda i contenuti, ma piuttosto nel modo con cui questi vengono espressi: il messaggio si trova lì, ed è la leggerezza con cui mi piace raccontare storie e immagini. Sdrammatizzare ciò che rischia di diventare pesante o eccessivamente drammatico per renderlo meno autoreferenziale e avvicinare l'interlocutore. Credo che le cose vere siano disordinate, casuali, senza forma, imprevedibili e che siano belle per questo. La mia ambizione è di restituire questa imprevedibilità attraverso parole e note che abbiano prima di tutto un senso per me. Se questo avviene la canzone vibra di un'energia propria che arriva al di fuori di essa e crea un rapporto con chi la sente.

Quali sono gli aspetti positivi e negativi di essere artisti indipendenti?

RICCARDO: Credo ci sia molta confusione intorno al termine “indipendente” in quanto negli ultimi anni, soprattutto in Italia, si tende ad accostarlo all'“Indie”, genere musicale ormai alla ribalta nel music business dello stivale. La nostra (e quella di migliaia di artisti) “indipendenza” risiede nel fatto di non avere contratti di alcun tipo con etichette discografiche o qualsivoglia società che lavora e guadagna vendendo e promuovendo musica. Questo è un vantaggio importante per molti aspetti, mentre può sembrare (e a volte lo è) un freno per altri: non essendoci logiche di mercato dietro la nostra attività siamo totalmente liberi di esprimerci, o di non esprimerci affatto, come vogliamo, nei tempi, con le modalità e l’impegno compatibili con le nostre vite, lasciandoci guidare dall’ispirazione e dalle sensazioni positive. Credo che l’aspetto più importante, soprattutto per gli artisti dalla sensibilità irrequieta, sia quello di poter spaziare tra forme e generi diversi, reinventandosi ogni volta che se ne sente il bisogno. Per quanto riguarda gli aspetti negativi (e anche su questo possiamo discuterne in base a cosa vogliamo ritenere “negativo”: negativo per i profitti? Negativo per la tua arte? Negativo per la fama?) credo che una delle occasioni che si perde una band che lavora in modo completamente indipendente sia quella di collaborare con professionisti del mestiere, musicisti esperti, produttori, che sappiano dare una forma, una logica, una “strada” al percorso e agli impulsi artistici a volte disordinati e slegati. Se invece vogliamo toccare il discorso puramente “pratico” dell’attività musicale di una band incappiamo nel problema diffuso e innegabile dell’impossibilità di farsi spazio in una giungla di artisti e band che (per fortuna!) cercano di farsi sentire e di costruirsi una fan base solida: le programmazioni live dei locali sono complete per anni, il web intasato di materiale, i canali di diffusione tradizionali quasi del tutto off-limits. Internet è stata una manna dal cielo soprattutto per gli artisti indipendenti, ma per farsi strada ormai è importante concentrarsi anche su aspetti che esulano dalla musica. Oppure avere grandi somme da investire in pubblicità eheh! Se poi vogliamo entrare nel merito del managing dei social network non finiamo più...Di una cosa però sono convinto: costruirsi un seguito di persone che apprezzano il tuo lavoro e la tua musica concerto dopo concerto, canzone dopo canzone, video dopo video, è un processo lungo ma che ripaga con l’autenticità e la sincerità delle loro emozioni. Emozioni tangibili durante ogni live; nessuno è lì perché è stato bombardato giorno e notte con i tuoi pezzi alla radio o su Spotify; chi viene a sentirti è lì perché ha speso del tempo per ascoltare la tua musica, ci ha messo dell’impegno, ha acquistato i tuoi dischi, magari ha anche consigliato la tua band ad altri amici. Questa credo sia la soddisfazione più bella dell’essere “indipendenti”. 

Siete un gruppo che ha molta gavetta alle spalle; come pianificate la dimensione live del vostro progetto e vivete il rapporto con il pubblico?

RICCARDO: Ad essere sinceri non abbiamo mai curato i nostri live impostandone a tavolino i particolari. Abbiamo via via lavorato alla scaletta in modo empirico, provandola dal vivo e aggiustando il tiro in base al risultato e alla situazione. Quello che cerchiamo è un contatto diretto con chi viene a sentirci suonare e per averlo non ci sono altri modi se non vivere il momento “live” come se fosse un momento reale, non un film o una recita. Questo approccio rende ogni nostro concerto diverso dal precedente e dal successivo: l’energia del pubblico, le nostre vite, le nostre giornate si mischiano in un unico calderone e il risultato è sempre imprevedibile, nel bene e nel male. Il fatto di non essere rigidi nell’approccio alla scaletta e alla serata ci permette anche di inserire brani improvvisati (improvvisati nel verso senso della parola, dalla musica al testo, creati sul momento. Ci vuole la giusta energia, sia chiaro!), cover mai provate, bis infiniti, pezzi strumentali, improvvisate unplugged nei parcheggi dei locali…Non ho dubbi nel dire che le situazioni più intime e sudate dei piccoli club siano quelle che ci permettono di comunicare al meglio e di abbattere ogni barriera tra il palco e il pubblico.

A cosa vi ispirate nella realizzazione dei vostri video e nella costruzione dell’immagine de “La Gerberette”?

ALESSIO: L'immagine de La Gerberette è casuale come tutto ciò che ci riguarda: il progetto nasce e vive di entusiasmi momentanei che si trasformano di volta in volta in musica o parole così come in elementi grafici o idee per i videoclip. I video realizzati ad ora hanno ognuno il suo approccio e sono frutto di collaborazioni con giovani registi che ho sempre affiancato personalmente soprattutto in fase di montaggio e post-produzione. Mi piace pensare a La Gerberette come a un progetto più ampio della sola musica e cerco, attraverso la grafica e al disegno, che è una mia grande passione da sempre, di completare l'immaginario delle canzoni. Ho realizzato personalmente le cover dei nostri dischi e curo la grafica dei social.

                                         

                                                      Foto di Mauro Guerrini

Social network e musica; cosa ne pensate di questa relazione?

PIPPO: Crediamo che i social siano un ottimo strumento per un gruppo musicale, ma devono sempre rimanere un mezzo e mai diventare il fine. La musica è contatto diretto con la gente, sudore, occhi negli occhi; se poi questi occhi da guardare sono molti di più grazie agli inviti su Facebook...ben venga!

Quali sono i vostri progetti futuri? Avete in programma la pubblicazione di un nuovo album?

GIULIO: In questo periodo abbiamo molte idee ma anche molti impegni lavorativi e universitari tra Siena, Firenze e Bologna, perciò il tempo per trovarci è poco. Stiamo cercando di dare più importanza alle prove, al piacere di stare insieme e suonare in intimità. Come già detto le idee e gli spunti sono molti e vogliamo assolutamente svilupparli per farli diventare dei brani, anche a costo di sacrificare i live; l’idea di album è ancora troppo prematura, per noi sarà essenzialmente il risultato di questo periodo creativo. 

Francesca Raffagnino

 

 

 

 

 

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