LUCA BETTI: “L’EDITORIA CAMBIA, MA IO RIMANGO FEDELE A SIENA”

News inserita il 31-03-2023 - Attualità Siena

Festeggiati nel 2022 i 30 anni di attività, l’imprenditore guarda al futuro: “Vorrei realizzare un volume su San Galgano”

C’è chi trascorre tutta una vita sui libri e chi sui libri lavora, da una vita. La differenza, che di primo acchito può sembrare marcata, sfuma se a parlare (di libri, soprattutto, ma non solo) è Luca Betti, storico editore senese che giusto un anno fa ha festeggiato i trenta di attività della propria azienda: una tappa più che un traguardo, su quel percorso di famiglia che il padre, Giancarlo, aveva iniziato a tracciare sin dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso affidando il proprio estro artistico all’arte fotografica, non a caso trasmessa al figlio Luca. “Fotografia che è stata parte della mia vita per moltissimi anni – dice Betti –, ereditando una passione ma anche apprendendo una tecnica: ricordo gli inizi, con un’Hasselblad che facevo fatica a tenere in mano da quanto era grande e pesante, e le migliaia di scatti di Siena, del Palio, degli eventi pubblici, di quelli privati e tanto altro ancora”.
Come nacque il passaggio all’editoria?
“Avevamo iniziato con una piccola attività editoriale di cartoline, il passaggio vero e proprio verso l’editoria del libro avvenne poi agli inizi degli anni Novanta. Nel 2022 la Betti Editrice ha festeggiato il traguardo dei trenta anni”.
Che per un’azienda di provincia non sono pochi…
“Basta rendersi conto, purtroppo, del numero di realtà che anche in città operavano in questo settore e che oggi non esistono più. Il mondo dell’editoria è stato rivoltato come un calzino in questi tre decenni, stare al passo con i cambiamenti non è facile”.
Quanto ha influito la tecnologia?
“Moltissimo, ovviamente. All’epoca pubblicare era dispendioso e difficile, il desktop publishing che conosciamo oggi era appena agli albori, al massimo si poteva fotocomporre il testo, ma per tutto il resto ci si appoggiava alle tipografie cittadine. Le scansioni andavo a farle alla Fotoincisione Moderna, in Fontebranda, con uno scanner lungo diversi metri che, girando, faceva tremare il pavimento: oggi tutte le foto sono digitali, e comunque è sufficiente uno scanner da tavolo per acquisire immagini di altissima qualità, mentre allora si montavano a mano tutte le pellicole sulle lastre facendo le famose cianografiche, che odoravano di ammoniaca. La stampa stessa, da tipografica tradizionale in offset, è divenuta digitale e garantisce un’altissima qualità”.
Paradossalmente, investire sull’editoria oggi è più facile?
“Diciamo che è un investimento più democratico rispetto al passato, perché le innovazioni tecnologiche hanno abbattuto certi costi e reso non più necessaria la tiratura numericamente consistente richiesta un tempo. L’editoria di nicchia e di contenuti, ad esempio, oggi è sostenibile: se si ha in mano qualcosa di bello, che merita, si può decidere di pubblicarlo comunque, questo significa facilità di accesso al sistema, anche se poi esiste un rovescio della medaglia”.
Vale a dire?
“Mi riferisco al proliferare dell’auto-pubblicazione che, passatemi la metafora, è un po’ come giocare da soli a guardia e ladri: alla fine, per forza di cose, ti prendi. Oggi chiunque si sente libero di scrivere ciò che vuole e nel modo che preferisce, ma sfruttando questo canale vengono a mancare l’editing, la cura della grafica, i filtri e soprattutto manca il giudizio”.
Che di norma spetta all’editore...
“L’editore seleziona. In giro ci sono autori, o aspiranti tali, che purtroppo mancano di umiltà: se qualcuno ti dice di aggiustare ciò che hai scritto, oppure di lasciar perdere, bisogna saper accettare quel giudizio. Io non pubblico una cosa che non ritengo all’altezza, neppure a fronte di contributi economici: come Editrice Betti non abbiamo un’asticella altissima, voglio essere chiaro, insomma non cerchiamo esclusivamente l’erede di Calvino, ma mi rendo conto che molti autori, o aspiranti tali, hanno un ego esagerato rispetto al loro reale modo di scrivere. Non fosse così, in Italia non verrebbero pubblicati, sono cifre del 2021, 82 mila libri all’anno”.
Sentendosi ripetere, da anni, che in Italia si legge pochissimo non è un controsenso?
“Esatto. L’Italia è quel Paese in cui pochi leggono libri, ma tutti li scrivono. Non è un caso che la qualità di certe pubblicazioni, già sul piano della sintassi o della grammatica, sia bassa: quando mi è capitato di scartare testi perché l’autore rifiutava correzioni, mi sono sentito dire che certi giudizi violentavano la grammatica dell’anima, peccato che la grammatica sia grammatica e non abbia un’anima”.
Diamo i numeri sull’Editrice Betti?
“Produciamo tra i cinquanta e i sessanta titoli all’anno, che mi rendo conto siano quasi una follia per una piccola realtà come la nostra. Come già detto, il fatto di poter ridurre drasticamente le tirature rispetto al passato ci aiuta non poco: se di un libro servono duecento copie si stampano quelle, poi se è necessario si va in ristampa in un secondo momento, evitare di mandare centinaia e centinaia di volumi al macero è anche un tema di rispetto dell’ambiente al quale siamo molto affezionati. Oltre al sottoscritto, in azienda ci sono due collaboratrici: assieme ci occupiamo di editing, della parte redazionale, di grafica e impaginazione: per la stampa abbiamo partnership con aziende non senesi del settore, purtroppo a Siena al momento non ci sono realtà industriali in grado di reggere la concorrenza”.
Quanto è difficile rimanere ancorati a Siena in un mondo, quello dell’editoria, che ha altrove il suo cuore pulsante?
“Lo ammetto, ho pensato di spostarmi più di una volta, magari su Firenze, ma alla fine è stato più forte il legame che tutti noi senesi abbiamo con le Lastre. Mi sono comunque allargato sotto altre forme, con un’associazione di Firenze che pubblica esclusivamente con me dieci, dodici volumi all’anno, facciamo eventi in Friuli Venezia Giulia e in Emilia Romagna, sono sempre presente al Salone del Libro di Torino considerato anche il mio ruolo di presidente Cna degli editori toscani”.
Ricorda il primo libro dell’Editrice Betti?
“Come faccio a dimenticarlo? Pallium è stato un po’ come il primo amore: nacque da un’intuizione di babbo, che aveva fotografato tutti i Drappelloni dal 1946 al 1969 all’interno dei Musei di Contrada, parlando con Roberto Barzanti. Ricordo l’emozione di quando fui chiamato a presentarlo, nel novembre del 1992, in una sala di Palazzo Patrizi gremitissima”.
C’è un volume al quale è maggiormente legato?
“Il libro della vita è quello sulle Feste del Sole (“Les fetes du soleil: celebration of the Mediterranean regions”, ndr) con Alessandro Falassi: uscì in inglese, fu presentato all’Unesco a Parigi e conteneva la prefazione di José Saramago, premio Nobel, del quale conservo gelosamente un breve scritto di congratulazioni nei miei confronti. Tanti altri progetti mi hanno comunque dato soddisfazione, soprattutto quando ho avuto modo di riprendere in mano la macchina fotografica: lo scorso anno è uscito “Tra Cielo e Terra”, sul quale Barbara Latini e Ilaria Bichi Ruspoli hanno raccontato il Duomo di Siena attraverso un approccio divulgativo e io mi sono tolto la soddisfazione di tornare a fotografare con tutte le declinazioni attuali, da una Insta 360 fino addirittura allo smartphone. Ho avuto anche la soddisfazione, mista a emozione, di far volare il drone dentro il Duomo deserto, in piena notte, un’esperienza incredibile”.
Ogni fine anno i media, anche quelli cittadini, fanno il conto dei libri più letti. Cosa ne pensa delle classifiche di vendita?
“È sempre difficile comprenderne la reale valenza, bisogna capire quanto siano reali o quanto, invece, si basino su percezioni. Se escludiamo il settore turistico, quindi anche e soprattutto le guide, un libro che a Siena vende cinquanta copie è già da classifica. Può capitare di avere riscontri importanti con alcuni saggi, mi vengono in mente i libri che l’amico Duccio Balestracci ha pubblicato anche con Laterza, ma è pur sempre un mercato particolare. In generale i numeri sono bassi”.
Che opinione ha dei concorsi letterari?
“Ce ne sono troppi, alcuni al limite dell’assurdo, spesso finiscono per falsare il mercato. In generale c’è ben poca selezione, anche perché organizzare un premio ha un costo e si cerca di recuperarlo con le spese di iscrizione e di segreteria, quanto ai premi più importanti non credo di scandalizzare nessuno del settore dicendo che, spesso, sono pilotati dalle grandi case editrici, oppure vengono indirizzati da quei membri di giuria che sono legati a determinati autori”.
Qual è il bilancio degli ultimi mesi di attività dell’Editrice Betti?
“Ha avuto un ottimo successo il volume sui dolci senesi, “Siena, la grande dolcezza”, la serie di interviste curata da Stefania Pianigiani, una blogger che si occupa anche di enogastronomia e sommelier. Siamo andati ben oltre Montaperti con i nostri dolci, se è vero che è stato presentato addirittura a Firenze, al Libraccio: l’enogastronomia è un argomento, un settore che attrae. Spendo volentieri due parole anche sulla collana “Alla scoperta della Bellezza”: dopo quello sul Pellegrinaio, è uscito da poco il quaderno monografico dedicato al Buongoverno, poi sarà la volta delle Biccherne, di Provenzano, del pavimento del Duomo, hanno una veste grafica che prende ispirazione dalle belle copertine nere e lucide dei volumi di Franco Maria Ricci e hanno tutti un taglio divulgativo, perché come diceva lo stesso Alessandro Falassi i libri vanno scritti con un linguaggio facile se vogliamo che vengano letti. E stiamo lavorando alla nuova edizione della guida di Siena dedicata ai bambini, nata più di 20 anni fa, precorrendo i tempi, e tutt’oggi un bestseller”.
Progetti per il futuro?
“Vorrei realizzare un libro su San Galgano, scriverlo mettendo assieme aspetti storici, artistici, simbolici, archeologici. So che è complesso, molte cose viaggiano su piani differenti, però credo sia necessario farlo per riuscire a far quadrare il cerchio. Ho intenzione anche di fare un libro fotografico sulla Toscana, un altro dopo quello, particolarissimo, realizzato in piena emergenza-Covid (“Toscana lockdown”, ndr): aver documentato in quei giorni le piazze e i luoghi completamente vuoti è stata un’esperienza molto toccante, rientrare la sera a casa dopo un’intera giornata senza aver trovato nessuno in giro era come essere parte di un film distopico”.
A gennaio è stato ospite del format Tgr Petrarca su Raitre, accennando a una “storia di Palio” rimasta sotto traccia per oltre mezzo secolo…
“Tutto nasce da un medaglione che avevo dentro un cassetto in casa, un oggetto con i colori della Chiocciola, sul quale sono disegnati una campanella, un chiodo, il numero 23 e la scritta “I sibillatori”. Mio babbo mi accennò una volta all’aver “fatto una sibilla”, indagando più a fondo tra contradaioli della sua generazione sono venuto a sapere di questo rito propiziatorio, dalla forte simbologia esoterica, compiuto da 23 chiocciolini qualche giorno prima del Palio di agosto del 1964, la sera alle 23 poco fuori Porta Tufi, quindi nei pressi del territorio della Tartuca: la Chiocciola, è risaputo, poi vinse quel Palio con il cavallo Danubio scosso e i partecipanti alla sibilla fecero una cena di ringraziamento ricevendo ciascuno quel medaglione”.
È la vicenda che ha ispirato il cortometraggio Saltarello?
“Tommaso De Sando, un amico che per tradizione di famiglia si diletta a fare il regista, ha riadattato la storia e la sceneggiatura ambientandola a Montalcino ai tempi della mezzadria, tramutandola in un rito magico che i contadini fanno contro il padrone. Nel film, che ha vinto premi internazionali e ha ispirato il romanzo di Alessandra Cotoloni, anche questo pluripremiato, recitano diversi senesi, in larga parte attori non professionisti ovviamente. Saltarello è disponibile su youtube, volendo potete farvi due risate osservando Luca Betti che si cimenta nella recitazione”.
La vita dell’editore sembra tutto fuorché monotona….
“Non mi lamento. Da qualche mese sono stato chiamato anche a presiedere il Lions Club di Siena, un’avventura che mi onora e che affronto con grande entusiasmo rispettando l’ideale di service a favore della comunità locale e internazionale, con particolare attenzione alle classi meno fortunate: in queste settimane è in corso un’asta benefica che prende spunto da “Animals”, la mostra di pitture sugli animali del Palio il cui ricavato verrà destinato a favore dei diversamente abili dell’associazione Le Bollicine”.
Matteo Tasso

 

 

 

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