"IL CALCIO FEMMINILE SENESE DEVE RIPARTIRE SOTTO GLI STESSI COLORI BIANCONERI"

News inserita il 30-01-2021 - Robur Siena

Nella scorsa caldissima, calcisticamente parlando, estate senese, le note vicende societarie della Robur hanno fatto passare sotto silenzio l'ennesimo scempio della prima squadra cittadina delle ragazze

Riceviamo e pubblichiamo:

L'anno appena iniziato sarà un anno topico per lo sport senese: la nostra città sarà infatti una delle quattro in Italia ad essere insignite del titolo "Città Europea dello Sport 2021". "A Siena vogliamo che lo sport sia davvero per tutti" aveva dichiarato il sindaco De Mossi, ed in questo contesto, l'attenzione verso le donne praticanti uno sport, come il calcio, considerato prettamente "da uomini", è senz'altro uno dei punti cardine di un reale progetto di inclusione. Del resto, Siena ha un posto importante nella storia "rosa" di questo sport in Italia: Xavier Breuil, nel suo «Storia del calcio femminile europeo nel XX° secolo», mirabile saggio sulla nascita del movimento calcistico femminile nei vari stati europei, a pagina 182 scrive «la pratica (del calcio femminile) continua a diffondersi a Bologna, a Parma, ma anche a Modena, che ospiterà la finale del Campionato, a La Spezia e Siena».

Siena, dunque, fine anni '60, già godeva di grande importanza nel panorama calcistico femminile, tanto da finire nel lavoro di uno storico transalpino quasi mezzo secolo più tardi.

Continuando a sfogliare polverosi archivi, si scopre poi che nel 1971 – 45 anni prima della Fiorentina, prima squadra professionistica ad aprire una sezione femminile – vi era già stato, per le calciatrici, un riconoscimento ufficiale da parte dell'allora presidente del Siena Beneforti e del sindaco Barzanti, che portò la squadra a disputare addirittura varie partite al Rastrello. Una spinta decisiva per le nostre pioniere, che portarono il nome della nostra città sempre più in alto nel cielo d'Italia...fino in serie A, l'olimpo del calcio, al termine della stagione 1972 – ben trent'anni prima che un nostro indimenticato presidente, con la sua "lucida follia", replicasse quest’impresa fra i riflettori del calcio “che conta”. Impresa che torneranno a replicare anche le nostre donne, nel 2012: altra società, Siena femminile, altro accordo, sempre con l'AC Siena stavolta targato Mezzaroma, altra serie A raggiunta ma mai disputata per difficoltà di carattere economico.

Ma oggi le cose stanno cambiando: il calcio femminile comincia ad apparire in televisione, sui social network riscuote seguiti sempre maggiori – domenica 15 settembre 2019, 77.000 persone seguirono Roma-Milan di calcio femminile, contro le 60.000 di Arsenal-Watford, Premier League – e fondamentale in questa ascesa è stato senz’altro il ruolo delle società professionistiche maschili che hanno preso ad investire sul “calcio in rosa”. E’ in questo contesto che la ormai ex presidente Durio aveva – con lungimiranza – deciso di inserire il calcio femminile all’interno della società Robur Siena, ottenendo subito nella prima – e purtroppo unica – stagione risultati importanti sia in termini numerici – più di cinquanta tesserate, tre squadre messe insieme con poco più di un mese di lavoro – sia in fatto di risultati – prima squadra al terzo posto in campionato, Under 15 in testa al girone regionale al momento dello stop, Under 12 in grado di giocarsi un campionato contro squadre di bambini maschi, senza contare l’accordo per la promozione del calcio femminile con una scuola del territorio e l’allestimento, già a partire da questa stagione, di una squadra Under 17. Ora, la domanda sorge spontanea: quale corto circuito ha portato questo patrimonio di tesserate ad essere dissipato? Se l’avventura della Robur Siena era arrivata al suo triste epilogo, l’esperienza dell’anno precedente aveva comunque dimostrato che maschi e femmine potevano benissimo coesistere all’interno di un’unica società, con vantaggi sotto gli occhi di tutti: un patrimonio di tesserate per il Siena, tutti i vantaggi di una struttura professionale e professionista per le atlete.

Quella di quest’anno era dunque l’occasione buona per veder ripartire finalmente maschi e femmine insieme, a braccetto, sotto la bandiera Siena, in una parità di genere non solo ostentata a parole, ma anche nei fatti, come, peraltro, fatto sperare dalle istituzioni. Era stata molto apprezzata, infatti, la presa di posizione pubblica del Primo Cittadino che, sin dall’indomani dell’addio della Robur al panorama calcistico italiano, aveva garantito il mantenimento del settore femminile come una prerogativa per chiunque avesse voluto ricostruire qualcosa sulle macerie della vecchia società, che un settore femminile lo aveva creato conseguendo sin da subito, come si è visto, ottimi risultati. Sarebbe stato quindi semplice ed economico dare continuità al buon lavoro svolto dalla sezione femminile della Robur, che aveva basi solide ed aveva mantenuto in piedi la struttura, nonostante l’assenza di una società alle spalle, fino ad inizio settembre, quando il nuovo Siena era già operante. Ma quello stesso Comune, che da un lato spendeva parole rassicuranti nei confronti del movimento, anche personalmente con alcuni dirigenti, dall’altro stava in realtà spingendo la sezione femminile al di fuori della nascente ACN Siena, appoggiando una soluzione esterna che, di fatto, riduce drasticamente la competitività e le potenzialità di crescita del movimento femminile senese stesso, assediato, stritolato e destinato a divenire facile terra di conquista per realtà più forti - Arezzo, Firenze, San Gimignano su tutti. Nonostante ciò, si è scelto di dirottare queste ragazze, che avevano atteso speranzose sino all’ultimo, verso una società di quartiere; una società, peraltro, rimasta senza nemmeno una tesserata appena un mese prima, a seguito di una rinuncia al campionato di Serie C femminile che si era portata dietro strascichi notevoli, come una lettera feroce indirizzata dalle ex tesserate alla stessa società. Una società da cui, oltretutto, il settore giovanile femminile era emigrato in massa due anni fa, per le ragioni espresse nella lettera e non solo. E non ci si faccia trarre in inganno dai comunicati e dagli articoli che parlano di ACN Siena Femminile: nel momento in cui le ragazze hanno firmato il tesseramento, hanno legato il loro nome alla società G.S. San Miniato; così come, in qualsiasi comunicato ufficiale emesso dalla federazione, sempre e solo di G.S. San Miniato si parla. E a dimostrazione di ciò basta leggere qualsiasi documento federale. Gli interrogativi, riguardo l’operato delle Istituzioni in questa vicenda, sorgono dunque spontanei. Perché, dopo le tante belle parole sul prosieguo del calcio femminile espresse nell’agosto di fuoco, non si è mediato affinché il femminile ripartisse, a braccetto del maschile, all’interno della famiglia Siena, com’è stato per il settore giovanile maschile? Perché, seppur ben a conoscenza di quanto accaduto appena un mese prima alle atlete della società San Miniato, rimasta ormai senza tesserate a causa della mancata iscrizione, si è deciso di “caldeggiare” – come dichiarato a più riprese nelle interviste da diversi esponenti della società neroverde – questa soluzione, piuttosto che quella di un unico Siena? E, se questa era la soluzione, perché non interpellare e coinvolgere anche le altre società del territorio, che potevano essere parimenti interessate a portare avanti un progetto “calcio femminile”, senza portarsi dietro il peso degli errori del passato? Perché si è parlato, nei giornali, di “salvataggio” del calcio femminile quando, allo stato attuale, del patrimonio di oltre cinquanta tesserate, ne sono rimaste meno di venti, con un settore giovanile che non esiste più ed è stato assorbito da altre società al di fuori di Siena? Se anche qualcuna di loro è restata, non avendo avuto voglia o possibilità di lasciare la propria città dopo aver atteso sino a settembre inoltrato gli sviluppi della questione Siena, perdonateci se questo non ci sembra affatto un salvataggio, bensì un "adeguarsi" ad una soluzione imposta, che per alcune rappresentava ormai l’unica possibilità per continuare. Una soluzione forse più comoda, ma sportivamente tutt’altro che lungimirante, se si pensa che la società Siena ha di fatto rinunciato al tesseramento di oltre cinquanta atlete, quattro squadre che sarebbero state un PATRIMONIO della società già acquisito, pronto a firmare e, nel caso delle giovanili, a pagare delle quote per la scuola calcio. Ora, vogliamo chiedervi di far ricorso alla vostra fantasia. Nel nome delle Pari Opportunità che tanto di questi tempi sono sbandierate, immaginatevi la stessa vicenda a parti invertite: una Istituzione che,  del Siena causa fallimento, fa sì che da quel momento in poi la prima squadra cittadina diventi...una società di quartiere. Fosse successo con la squadra maschile, ci sarebbe stata la rivoluzione. Ma con le donne si può. Non hanno un seguito numeroso in grado di "tutelare", in qualche modo, i loro diritti. Dunque qualsiasi scelta, anche la più sportivamente illogica, è concessa; tutto ciò che loro possono fare è “farsi salvare”. O, per come la vediamo noi, adeguarsi alle altrui decisioni. Intanto, ci guardiamo intorno. E’ finito il tempo in cui, nel femminile, con tanta passione e forza di volontà si scalavano le categorie. Non basta più improvvisare, per restare competitivi in un mondo che sta correndo a grandi passi verso il professionismo. Servono strategie forti. Una società forte alle spalle, non un semplice nome sulla maglia - che poi sui calendari scompare. Tutt’intorno a noi, il calcio femminile comincia a correre, a ricalcare quasi alla perfezione gli organici del calcio maschile. Un po’ di esempi: Fiorentina a Firenze, l'Empoli ad Empoli, il Livorno a Livorno, il Pisa a Pisa, il Pontedera a Pontedera, la Carrarese a Carrara, la Lucchese a Lucca, il Perugia a Perugia; Arezzo e Pistoiese, che pure sono società a sé stanti, sono società esclusivamente femminili, che hanno quindi nel calcio femminile la loro unica priorità...e il loro nome è quello della prima squadra cittadina. A fianco a loro, nella nostra stessa provincia, il San Gimignano in serie A; ed il Badesse Lornano, avversario dell’ACN Siena in serie D, ha in organico una prima squadra femminile che milita in Promozione. I dirigenti della vecchia Robur Siena avevano capito che era il momento di iniziare a correre. Che gli stessi soldi spesi per siglare un accordo, potevano essere investiti per creare un settore femminile all’avanguardia interno alla famiglia Siena, sulla scia dei grandi club professionistici italiani ed europei. E siamo fermamente convinti che questa visione di un calcio nuovo, senza distinzione di sesso, che riconosca a calciatori e calciatrici, uomini e donne, uguali diritti di poter rappresentare la propria società di riferimento nel panorama calcistico italiano, sia una visione vincente anche dal punto di vista programmatico e finanziario, giacché crediamo che nessuna delle società suddette operi investimenti a fondo perduto in ambiti che non garantiscono ritorni di alcun tipo. I tempi del barcamenarsi lentamente fra mille sacrifici è ormai finito. Adesso, chi invece di correre cammina, rimane indietro. Si ferma. E’ perduto, perché intorno a noi sono in tanti, in troppi a correre. Non è necessario neppure uscire dalla nostra provincia: a San Gimignano, oltre alla serie A, la società ha messo in piedi un florido settore giovanile femminile, dalle Under 12 alla Primavera. Non c'è da meravigliarsi se, dopo il tramonto del sogno "Robur Women", molte delle nostre atlete più promettenti hanno lasciato la loro città, Siena, per abbracciare un progetto con più attrattiva e garanzie di crescita personale e sportiva, a costo di affrontare qualche kilometro in più. In un contesto come quello attuale, con l’avvento di società blasonate nel maschile (Fiorentina, Empoli) o nel femminile (San Gimignano), le piccole società di quartiere pagano a caro prezzo una scarsa attrattiva nei confronti delle ragazze che vengono dalla provincia: una bambina di 12 anni che viene da fuori città, ma anche dalle società cittadine, può essere certo attirata dall'idea di giocare per il Siena, molto meno da quella di giocare in una società di quartiere; preferirà dunque restare a giocare coi maschi finché possibile, quindi accettare proposte di società importanti con cui quasi sempre ci si trova a fare i conti, visto che le poche tesserate presenti sul territorio sono sempre oggetto di “corteggiamento” da parte di queste ultime.

A questo aggiungiamo che il Siena dovrà affidare ad una società terza la gestione del settore, senza avere un controllo diretto su di un’attività che, in caso di passaggio fra i professionisti, diverrà comunque obbligatoria, e che poteva benissimo essere gestita in prima persona. Una scelta quanto meno discutibile sportivamente parlando: voi non preferireste gestire un’attività – e quindi, i vostri soldi – in prima persona, piuttosto che affidarvi ad altri soggetti? Dunque, perdonateci se alla luce di tutto questo, riteniamo che il futuro del calcio femminile, a Siena, meriti di essere costruito diversamente, con una sinergia forte, sotto la stessa gloriosa bandiera bianconera; perdonateci se quanto avvenuto ci ha feriti nel profondo, con la lama dell'indifferenza, dell'ignoranza nei confronti della nostra realtà femminile; se ci sembra, in definitiva, una enorme mancanza di rispetto per le donne di questa città, di quelle che fanno calcio, ma anche in generale della collettività. Perché, se negli ultimi anni si parla tanto di pari opportunità, è giusto che in questo piccolo gioiello che in tutto il mondo ci invidiano, qualsiasi bambino possa cullare il sogno di rappresentare la sua amata città. A prescindere che sia nato maschio, o femmina.

Passione calcio femminile Siena

 

 

 

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