Ha pubblicato il libro "I Citti" (Edizioni Il Leccio), ama fotografare i bambini: per conservare i ricordi tangibili delle loro radici e per lasciarli liberi di spiccare il volo
Giulia Brogi, senese e contradaiola del Drago, si è avvicinata alla fotografia per passione e per immortalare i legami con le persone. Ha rilevato lo studio del fotografo Cini e ben presto è divenuta la detentrice di ricordi privati: iniziando a fotografare matrimoni, apre gli orizzonti anche al Palio e, specialmente, a quelli che sono i soggetti principali dei suoi scatti: i bambini. Autore di “I Citti, bambini del Palio” (Edizioni Il Leccio), ha collaborato in passato con le sue foto alla pubblicazione del libro di Massimo Biliorsi e di un Numero Unico per la vittoria della sua contrada.
Com’è nata la passione per la fotografia e perché ha deciso di intraprendere questa strada?
"La passione è sicuramente nata da quando ero piccola.

Quali sono gli eventi che hanno segnato un cambio di passo nel suo percorso? Quali tra questi le hanno fatto capire di essere sulla strada giusta?
"Sicuramente il cambio di passo è avvenuto quando la passione è diventata un lavoro, cioè quando ho preso in mano lo studio del fotografo Cini. Ma non solo questo evento è stato significativo. È stato veramente importante per la mia formazione vedere persone che con il tempo che passa continuano a darti fiducia. Inizialmente andavo a immortalare i momenti ai matrimoni e gli sposi hanno voluto mantenere i contatti con me; infatti, non appena nasceva il figlio mi chiamavano a fotografare anche quei loro momenti privati. Con questi rinnovi continui di fiducia ho capito di essere sulla strada giusta".
Cosa le piace fotografare? Quale è il significato della fotografia per lei?
"Adoro fotografare le persone ed i loro reciproci legami, sia dell’individuo con sé stesso sia con gli altri. Mi piace immortalare le connessioni interpersonali e questo si vede bene nel palio: quelle 96 ore di Palio non sono nient’altro che una prosecuzione del mio lavoro durante l’anno: osservare e scattare immagini i cui soggetti sono le persone. Il legame è il filo conduttore. Il significato di questo “fil rouge” è quello di raccontare storie, emozioni e prendere consapevolezza delle cose importanti che saranno ricordi fissati nel domani".
Può spiegarci il suo rapporto da fotografa con il Palio?
"Il mio rapporto da fotografa con il Palio inizia presto, nel 2004: sono ormai vent’anni che mi muovo nella nostra festa. Ovviamente per me è, da contradaiola del Drago, raccontare qualcosa da un punto di vista interno, viverlo da dentro e presa a livello emotivo. Sicuramente non significa essere attratta solamente dalla cronaca di pista, ma dall’intimità della vita di contrada. In altre parole, non voglio limitarmi ad immortalare l’apparenza, ma scavare più a fondo nelle emozioni. Anche nella mia Contrada ci sono state occasioni in cui ho potuto mostrare la mia vena fotografica: ho collaborato con i miei scatti alla pubblicazione del libro di Massimo Biliorsi, la mia prima esperienza nell'ambito editoriale, e sono stata anche in commissione per il Numero Unico nel quale ho potuto inserire le mie foto. Anche quest’ultimo evento è stata un’emozione: era la prima vittoria del Drago da quando lavoravo in questo ambito".
E poi il secondo incontro con i libri. Adesso magari un nuovo progetto?
"Sì, il mio libro si chiama “I Citti, bambini del Palio” e riguarda la vita dei bambini in contrada. Sto lavorando anche ad un altro progetto che si basa sui ritratti. Sicuramente una prospettiva che mira al passato, è un ritorno alle foto di una volta puntando non sulla quantità ma sulla qualità dell’immagine. Con questo progetto intendo mettere in evidenza il rapporto comune tra la persona fotografata e il fotografo per ricercare ancora una volta l’unicità delle persone e le relazioni che viviamo".
E' laureata in Scienze dell’educazione: c’è quindi una connessione tra la sua formazione universitaria e ciò che ama fotografare?
"In realtà sì, è tutto collegato. Ho sempre fatto l’animatrice nei campi scuola, sono molto attenta ai bambini e al loro punto di vista del mondo; loro, infatti, hanno un rapporto con la realtà senza maschere, innocuo, senza paure. Mi piace pensare che immortalare i bambini sia anche un invito a rivivere lo spirito paliesco tornando alla nostra infanzia e adolescenza: in altre parole un ritorno alla purezza senese. Fotografarli è come fare un investimento sul futuro: significa lasciare loro ricordi tangibili delle loro radici per lasciarli liberi di spiccare il volo".
Niccolò Ricci