Il team manager tra passato, presente e futuro: "Daniel Hackett? Vorrebbe chiudere la carriera in biancoverde"
Tifoso di accesa passione fin da piccolissimo, giocatore per una breve e sfortunata parentesi qualche anno fa, dirigente dalla scorsa estate. Le strade di Niccolò Franceschini e della Mens Sana si sono incrociate spesso e volentieri nei 40 anni scritti sulla carta d’identità del nuovo team manager Note di Siena, che dalle parti di viale Sclavo è però di casa da sempre: questione di radici familiari (anche di lavoro), rigorosamente biancoverdi pure quelle. “Dopo venti anni di solo campo sto avendo l’opportunità di una visione societaria a 360 gradi – racconta Franceschini -, è un’esperienza nuova, stimolante e formativa al tempo stesso: sono molto felice di lavorare a fianco di dirigenti come Riccardo Caliani e Arcangelo Galasso, oltre ovviamente al presidente Frati.
Al Costone, lo scorso anno, aveva preso le misure a questa nuova “vita da dirigente”?
“Matteo Borsi e David Fattorini mi avevano coinvolto nel seguimento del settore giovanile costoniano: ho fatto per un anno il responsabile organizzativo, senza dubbio mi è servito per iniziare a capire quanto lavoro ci sia fuori dal parquet”.
Che rapporto ha con i giocatori della Note di Siena?
“Molto bello, ho un vissuto di campo abbastanza fresco e questo aiuta a comprendere certe dinamiche interne al gruppo: il mio apporto, i miei consigli, la mia vicinanza, si limitano ovviamente a questo, la parte cestistica è di sola pertinenza dello staff come è sacrosanto che sia in una società che sta dandosi un’impronta professionistica sotto il profilo organizzativo e della specializzazione. Caliani a inizio annata ha chiesto alla struttura proprio questo salto di qualità”.
Edoardo Pannini, per la verità, è stato anche suo compagno di squadra…
“Certo, eravamo assieme quando la Mens Sana, nel 2019, ripartì dal campionato di Promozione. Un paio di stagioni prima avevo giocato anche assieme a Sabia, ad Asciano. Sia io che tutti i ragazzi, comunque, siamo consapevoli che il mio sia un ruolo dirigenziale, non da compagno di squadra che ha qualche anno in più di loro”.
Che giudizio dà sui primi quattro mesi della stagione biancoverde?
“Siamo in linea con le aspettative, ce la stiamo giocando per arrivare sesti in un campionato come la B Interregionale che, lo dico per esperienza personale, è molto duro sul piano fisico, oltre che di livello decisamente superiore in quanto a basket giocato.Per oltre metà dei nostri giocatori è una categoria completamente nuova, gli altri l’hanno disputata per una, massimo due stagioni e mai con il ruolo da protagonisti che hanno qui, insomma serve tempo per abituarsi, anche solo all’intensità che viene richiesta in allenamento”.
L’infortunio di Neri, il giocatore con maggior esperienza di serie B, quanto ha influito nel processo di crescita della squadra?
“Matteo praticamente è fuori da tre mesi, il suo infortunio ha pesato come hanno pesato altri contrattempi di natura fisica che ci sono stati nella prima parte della stagione, ma nonostante tutto abbiamo il sesto posto ancora a portata di mano e il campionato vive su di un grande equilibrio. Speriamo che possa darci un buon contributo in questo ultimo mese di stagione regolare, che è decisivo e che ci chiede di vincere più partite possibili, soprattutto contro le squadre che attualmente ci seguono in classifica: sono sincero, la nostra è una formazione che potendo schierare tutti i suoi effettivi a referto sarebbe tranquillamente in lotta per i primi quattro posti. Lo abbiamo dimostrato sul campo, in più di una occasione”.
Faceva riferimento al salto di qualità della struttura societaria. Che effetto le fa il percorso compiuto dalla Mens Sana in questi anni?
“È una soddisfazione estrema averla ritrovata molto cresciuta sulpiano dell’organizzazione e della specializzazione. C’è un progetto chiaro, ci sono persone serie, c’è grande fiducia, dobbiamo però fare un passo alla volta, con i voli pindarici abbiamo già dato: detto alla senese, la bocca ce l’abbiamo già battuta altre volte, insomma non è il caso di commettere altri errori”.
Lei ha sempre definito la Mens Sana una seconda famiglia…
“E aggiungo che ho vissuto con grande sofferenza questi ultimi anni. Avevo coronato il sogno di indossare la maglia della mia squadra, cinque anni fa, poi la sfortuna si è messa di traverso: in poche settimane mi sono prima rotto il ginocchio e poi è arrivata una pandemia mondiale a fermare tutto, ho accusato il colpo, anche quando i campionati sono ripartiti non riuscivo a tornare al palazzo con lo spirito del tifoso che sempre mi ha contraddistinto. Era troppa la delusione per non aver potuto chiudere la mia carriera in biancoverde, come probabilmente sarebbe successo in circostanze normali”.
Il sorriso, lo spirito di un tempo, quando sono tornati?
“Paradossalmente è cambiato qualcosa dopo la partita tra Costone Mens Sana che nel 2022 ha deciso il campionato (partita nella quale Franceschini firmò i canestri decisivi per la vittoria gialloverde, ndr), ho sentito che era arrivato il momento di riavvicinarsi, lo scorso anno ero di nuovo al palasport a tifare, durante i playoff. Oggi mi godo la Mens Sana sia da tifoso che da dirigente e mi reputo fortunato e privilegiato ad avere un ruolo in quella che è la società del mio cuore. Qui ci sono i ricordi di una vita, qui sono cresciuto, se non fosse stato per l’amore che mio padre ha nutrito per la Mens Sana, probabilmente neppure sarei nato a Siena”.
Piero Franceschini, appunto, è stato uno di quei giocatori grazie ai quali negli anni Settanta è scoppiato il grande amore tra Siena e la pallacanestro: le spiace non averlo mai visto in azione con la maglia biancoverde addosso?
“Sono nato nel 1984, non c’è stata la possibilità di farlo e purtroppo non esistono neppure filmati di quel periodo: credo di aver visto al massimo 4-5 azioni in qualche spezzone che negli anni è circolato sui social, ci sono tante foto, quelle sì, e a casa c’è ancora la sua storica tuta verde col marchio Sapori. L’ho vissuto di riflesso, quell’amore: per tanti anni, entrando al palazzo, mi sono sentito dire “quando babbo giocava, io c’ero..”, ancora oggi mi capita di fantasticare su come tutta quella gente potesse riuscire a entrare in un impianto piccolo come il Dodecaedro, o di immaginarne l’atmosfera in quelle giornate”.
Come ha reagito, suo padre, quando ha saputo del suo incarico da team manager?
“Gli brillavano gli occhi. Credo sia stato come tornare indietro nel tempo per lui, che alla Mens Sana ha legato un lungo percorso e che alla Mens Sana è rimasto sempre attaccato. Io e mio fratello siamo nati e cresciuti mensanini grazie a lui, la famiglia Franceschini deve molto alla Mens Sana anche se purtroppo non sempre le cose sono andate per il verso auspicato: oltre al mio sogno spezzato, penso a Filippo che ha vissuto in prima persona il fallimento della società, nel 2019, quando stava coronando il suo di sedersi sulla panchina biancoverde”.
Sperando di non provocare litigi in famiglia, sul parquet meglio Nicco o meglio Pippo?
“A livello di gioco, e anche di agonismo e cattiveria, non ho dubbi: meglio il sottoscritto. Se invece si parla di talento non c’è partita, mio fratello ne aveva da vendere in grande quantità: forse il carattere che ha tirato fuori da quando ha iniziato ad allenare gli è mancato quando giocava, peccato perché avrebbe potuto arrivare in alto, aveva davvero due mani d’oro”.
Il ricordo più bello del Niccolò Franceschini giocatore?
“La promozione in B con il Costone nel 2012. Eravamo “la squadra incompiuta”, tutti gli anni viaggiavamo in cima alla classifica durante la prima fase e poi, regolarmente, venivamo eliminati al primo turno dei playoff: nel campionato precedente avevamo fallito la promozione perdendo all’ultimo secondo a Sassari e io volevo chiudere col basket giocato, invece dodici mesi dopo riuscimmo a chiudere il cerchio, era un gran bel gruppo, tutti ragazzi di Siena a parte Cessel, senese acquisito, e Solfrizzi, tanta voglia di sacrificarsi, tanto carattere che ci permettevano di pareggiare il livello di squadre ben più forti della nostra. Altri bei ricordi personali, il campionato vinto sempre col Costone nel 2022, anche se a scapito della Mens Sana, e poi la promozione in C nel 2016 ad Asciano, con mio fratello allenatore: un’emozione unica”.
I ricordi del Niccolò Franceschini tifoso, invece?
“Tantissimi e meravigliosi. Nel 2004, per il primo scudetto, esagerai a entrare in mezzo ai festeggiamenti e finii in foto assieme a David Andersen che stava alzando la coppa: poi il carosello in motorino in due con mio fratello, ho il ricordo di un’Ape che ci precedeva, sul quale mi pare Federico Marconi aveva caricato il cubo dei cambi, portato via dal palasport. Nel carosello del 2013, invece, sulla mia Vespa c’era Daniel Hackett: mi aveva chiesto lui di essere riportato a casa dai festeggiamenti in Piazza”.
È strano vederla così pacato accanto alla panchina, al di qua da quella balaustra dove per anni…
“…mi si vedeva in prima linea con i “trombamici”, vero. Ho ancora i segni di vernice rossa sul parquet del negozio, è lì che avevamo fatto lo striscione che esponemmo in tribuna: per tanti anni ho cercato di esserci sempre quando la Mens Sana giocava in casa, in trasferta era più difficile conciliare i miei impegni di giocatore con i viaggi lontano da Siena”.
Com’è viverla da dirigente, questa passione?
“Sentire alle tue spalle la Verbena non è come essere in tribuna a cantarla, me lo ripeto dalla prima partita che giocai con la Mens Sana nel 2019: una botta fortissima di emozione, impossibile da dimenticare oltre che difficile da superare. Quest’anno mi sono ritrovato a cercare di calmare gli animi dei nostri tifosi nel finale della partita contro Empoli: mi sono sentito dire “proprio te!”, non avevano tutti i torti”.
A proposito di Daniel Hackett, quando nasce la vostra amicizia?
“È un rapporto fraterno da diversi anni, da quando lui è venuto a giocare a Siena e abbiamo iniziato a frequentarci. Ci conoscevamo anche prima perché Rudy, suo padre, e Piero erano stati compagni di squadra a Forlì e si erano poi tenuti in contatto, il primo vero incontro lo abbiamo comunque avuto ai tempi in cui Daniel giocava a Treviso, durante una Pasqua trascorsa a Milano Marittima: nel tempo l’amicizia si è saldata, ho conosciuto sua moglie Elisa, è stato il mio testimone di nozze nel 2023, tutte le settimane ci sentiamo e parliamo, non solo di basket”.
Potrebbe provare a convincerlo a tornare in biancoverde…
“Daniel segue sempre le vicende della Mens Sana e, non è un mistero, avrebbe il sogno di terminare la carriera qui a Siena, città nella quale si rifugia appena finisce la stagione e della quale si è innamorato per tanti motivi, qualche anno fa battezzandosi anche nell’Istrice. Chiaramente è un po’ complesso pensare di vederlo scendere oggi dall’Eurolega alla B2, anche perché altre due, tre stagioni ad alto livello è tranquillamente in grado di disputarle, però mai dire mai, del resto i rapporti con Riccardo Caliani, che all’epoca era il suo team manager, sono molto buoni e un Hackett anche quarantenne potrebbe farci più che comodo”.
Intanto lei deve scegliere il primo regalo sportivo per la primogenita che sua moglie Chiara darà alla luce tra qualche settimana. Pallone da basket o racchetta da tennis?
“Sarà sicuramente mensanina, quello sì, però me la immagino tennista come mamma Chiara, che è tornata anche lei al palasport a tifare, come faceva da piccola”.
Matteo Tasso