CHIUSI LADRA DI TRADIZIONI: A PASQUA SI MANGIA LA CIACCIA UMBRA

News inserita il 14-04-2017 - Chiusi

I chiusini scoprono un altro modo di far festa grazie ad una ricetta rubata

La tradizione, si sa, è un sapere condiviso, una conoscenza che si tramanda di generazione in generazione. In quanto a tradizioni il nostro Paese ne ha da vendere, soprattutto se si tratta di quelle culinarie. Lenticchie e cotechino per le feste natalizie, i cenci a Carnevale e le frittelle per la festa del babbo, solo per dirle alcune. Ogni regione poi ha il suo piatto tipico ed qualora le ricette si dovessero assomigliare i nomi cambiano, giusto per non fare confusione. E a Pasqua? Per Pasqua a Chiusi si mangia la “ciaccia”, o almeno così la chiamano i chiusini. In realtà la ciaccia di Pasqua però non è Toscana ma Umbra, ma sarà per i 5 km che separano la cittadina etrusca dalla regione al cuore della nostra penisola, i chiusini non si sono fatti scrupoli a rubare questa tradizione e a farla loro. Così più di ogni altro giorno dell'anno, per quello di pasqua la colazione è davvero il pasto più importante dalla giornata. La festa infatti inizia sin dal mattino e come noi italiani sappiamo bene: qual è il modo migliore per festeggiare se non mangiando? Uovo sodo, ciaccia di Pasqua e capocollo.
A differenza di quella abruzzese, dolce con uvetta e canditi, quella umbra è salata, per la precisione al formaggio, meglio comunque parlare al plurale: pecorino, parmigiano e groviera. Ingrediente fondamentale è comunque il tempo. La ciaccia di Pasqua infatti ha un tempo di preparazione lungo quasi ventiquattr'ore. La sera i tre formaggi, grattati e a tocchetti, devono essere mescolati con olio, pepe, sale, spezie e vino bianco insieme con le uova sbattute e il composto deve riposare una notte intera, così come il lievito madre. La mattina è il momento dell'impasto a fontana e dopo averlo maneggiato per circa 20 minuti, si mette a lievitare. Una volta lievitato l'impasto è pronto per essere infornato e dopo circa un'ora il lungo processo è giunto al termine, o quasi... Il vero momento conclusivo è infatti quando ci si mette a tavola. L'appuntamento è alle 12, vent'anni fa era in quel momento che nel paese si scioglievano le campane, non la notte del sabato. A quel suono i bambini che imparavano a camminare venivano lasciati andare da soli. Era il segno di prendere il proprio posto attorno alla mensa, di mangiare la testa di agnello fritto, perché “non si butta via nulla”. Un suono che avverte di far festa e come scriveva qualcuno “Ed a quel suon diresti Che il cor si riconforta”.

Elisabetta Crezzini

 

 

 

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