SIENA, LA LEGA NORD INTERVIENE SUL CAOS IN PIAZZA SALIMBENI
News inserita il 23-08-2015
Intervento della Lega Nord Siena sul caos in Piazza Salimbeni.
La prima volta che sono uscito di casa da solo non avevo ancora
sei anni. Eravamo appena tornati in centro, dall’immediata periferia, e mia
mamma mi chiese di andare a ritirare la spesa dalla lattaia di via della
Sapienza. E se mi perdo? piagnucolai. Non ti puoi perdere. Esci dall’arco dei
Rossi e vai a destra, trovi una piazza con una statua al centro. Quando
sei lì, mettitela alle spalle e scendi pe’ una piaggia, poi attento
alle macchine, fai quell’altra discesina e subito dietro l’angolo c’è
la lattaia.
Andai e tornai in un amen, ma mi soffermai un attimo a
guardare quella piazza. Era settembre, una giornata nuvolosa. La luce diffusa
dalle nuvole appiattiva quel luogo, ma nel contempo rendeva più fruibili le
proporzioni, la profondità del quadrato al centro del quale si ergeva un uomo
con lo sguardo austero ma al contempo bonario, in un cangiare di
grigi che la rendevano affascinante. Rivista in seguito con la luce
di una giornata di sole, le ombre avrebbero ingarbugliato l’armonia severa
di quelle costruzioni antichissime. Sarà che il passato te lo immagini sempre
con le nuvole.
Al mio ritorno chiesi alla mamma il perché di tanto rigore, di
tanta austerità, e soprattutto di tanta bellezza. Con la pazienza di
una donna che poteva dedicare tutto il tempo necessario ai figli, mamma mi
spiegò che a Siena ci sono la Piazza del Campo, simbolo della forza della
politica, degli uomini di Stato, e il Duomo, simbolo della forza divina, degli
uomini del Clero. Ma tutto questo gira grazie al denaro di
Piazza Salimbeni.
Il mio nonno omonimo aveva lavorato lì fino a pochi anni prima.
Inutile dire che sono cresciuto con gli aneddoti della vita lavorativa del
nonno nelle orecchie. Nonno Stefano non si era portato via dall’ufficio mai
niente, neanche un lapis. Nonno Stefano si faceva portare un vassoio di pasta
(da casa, fatto dalla moglie, pagato di tasca sua) e tornava a casa quando
aveva finito, non quando era l’ora. Nonno Stefano chiamava il suo datore di
lavoro “Babbo Monte”, fare qualsiasi opera che andasse contro gli interessi del
datore di lavoro era come arrecare un danno alla propria famiglia. Questi
sarebbero divenuti i pilastri della mia educazione, ma questo è un altro
discorso.
La Piazza è delimitata dal palazzo Spannocchi, in Banchi di Sopra,
dal palazzo Tantucci, in via Montanini, e naturalmente dal
palazzo Salimbeni, sullo sfondo, che incorpora l’antica chiesa di San
Donato. Quattro edifici il cui pregio non posso star qui ad illustrare,
non ho la cultura sufficiente per dilungarmi in alcuna descrizione né
storica né architettonica, al limite posso osare a dire che formano
una delle piazze più belle di Siena (quindi, con presunzione tutta senese, una
delle piazze più belle d’Italia e del mondo). Tuttavia ai più curiosi dico
che esiste un tomo, “La Sede Storica del Monte dei Paschi di Siena,
Vicende Costruttive e Opere d’Arte”, risalente ai tempi in cui
la Banca omaggiava i suoi migliori correntisti di interessanti
edizioni su tutto ciò che di artistico questa città offre, che parla proprio di
piazza Salimbeni. Dire che è interessante è poco. Lo devo aver sfogliato
cento volte, ma cento anni fa. E’ giusto per rinfrescarmi la memoria
che lo ho aperto di nuovo, in seguito ad una considerazione fresca di poche ore
dopo essere passato per la milionesima volta lì davanti.
Tutto sommato il libro è molto tecnico, quindi mi sono limitato a
sfogliarlo per la centunesima volta, anche perché mi è bastata
l’introduzione: Siena, città del Monte. Riporto un passaggio.
Si parla di interconnessione tra socialità e spazi urbani: “La
città, quale si rivela nella storia, è il punto di massima concentrazione
dell’energia e della cultura di una comunità… perché il tracciato e la
forma della città esprimono in modo visibile gli sviluppi della vita associata
e perpetuano in una forma stabile gli sviluppi transeunti della storia. La
città è il simbolo delle relazioni sociali integrate: essa è la sede del
tempio, del mercato, del tribunale, della scuola; con l’aiuto di tali istituzioni
ed organismi la sicurezza e la continuità prevalgono per lunghi periodi, mentre
edifici, monumenti, testimonianze permanenti arricchiscono la memoria
vivente”.
Piazza Salimbeni quindi è al contempo istituzione,
edificio, monumento, a permanente testimonianza dell’energia e della cultura
della nostra comunità. Piazza Salimbeni è il prodotto del tempo, è la
vita degli uomini senesi che si è solidificata attraverso l’arte in una forma
durevole, più evidente delle stesse parole scritte, capace di lasciare
un’impressione persino in un bambino di meno di sei anni. Essa sfida il
tempo, e le generazioni successive a quelle del bambino che
fui, riceveranno un imprimatur dalla sola semplice visione di questa
piazza. Le stratificazioni temporali non la intaccheranno.
A meno che…
A meno che non intervenga, nel corso della storia di Siena, una
generazione di governanti che non abbiano occhi per vedere. Essi potrebbero
perdere il senso dei loro avi per la storia fatta pietra, per la cultura fatta
arte. Oppure potrebbero in qualche maniera soppiantare, forse con una
rivoluzione lenta ed incruenta, quei senesi capaci, come me e tanti altri, di
rimanere attoniti davanti a qualche opera simile a piazza Salimbeni.
Potrebbero decidere di cambiarne “destinazione d’uso”, consapevolmente o non
consapevolmente (si sa, l’intelligenza si misura con la capacità di
prevedere le conseguenze di una azione). Magari potrebbero farla diventare
un garage a cielo aperto nella loro inettitudine nel gestire le necessità
logistiche delle attività lavorative e di chi ne usufruisce.
Oppure si potrebbe decidere di rendere il centro storico un parco
tematico, allontanandone i residenti o rendendoli simili ai Pellerossa
americani in una riserva, stabilendo un programma culturale che “trae
spunto dall’idea della rinascita culturale della città avvenuta dopo il
1348, anno in cui la peste uccise quasi la metà della popolazione, e dopo
il quale lo spazio pubblico cittadino fu percepito e usato in un modo
nuovo, aprendo la strada al Rinascimento”, sottintendendo quindi
la necessità di scacciare i senesi dalla loro città, nella
realizzazione di una operazione che in realtà mira ad uno
sfruttamento di nuove aree suburbane come, che so, l’Isola d’Arbia, anche se non
vi fosse benessere, stabili basi economiche, crisi degli alloggi a
giustificare tale scelta politica.
Una generazione di governanti, quindi, con la ferma intenzione di
cambiare “destinazione d’uso” alla città, luogo visitato da tutto il
mondo per le sue peculiarità, che sono non quelle di un borgo conservato a
guisa di “stanza del morto” in cui non si può neanche spolverare per non
alterare il ricordo del caro estinto, ma sono quelle di un insieme di
testimonianze architettoniche che mostrano l’impegno plurisecolare di
un popolo, di una cultura che si è servita delle arti più eccelse per
tramandare per sempre le sue virtù attraverso opere, come
piazza Salimbeni, da valorizzare e conservare, e non da usare come
smistamento merci, o autorimessa di un albergo.
Ma in sostanza è quello che sta avvenendo: la scelta
dell’assessore Alessandro Maggi di chiudere rigorosamente e definitivamente al
transito Banchi di Sopra ha avuto queste conseguenze per
piazza Salimbeni e strade limitrofe. Taxi merci, corrieri, furgoni
che approvvigionano di merce i negozi e residenti, di fatto impediscono
che i senesi ed i loro ospiti possano fruire della visione di quelle pietre,
che come bosoni di Higgs hanno dato massa e forma all’energia della
nostra comunità. A sentire il sindaco, esiste la ferma intenzione di estendere
ad altre zone del centro il divieto assoluto di transito: chissà quali altre
piazze e strade avranno la stessa sorte della mia piazza Salimbeni.
Stefano Parrini
|
|