SEXY SIENA, QUANDO FONTEBRANDA DIVENNE SET DI UNA COMMEDIA OSÉ

News inserita il 27-11-2017 - Ok Siena

Nel 1975 si girava in città "Quel movimento che mi piace tanto". Protagonisti Giuffré e Montagnani, ma non mancarono le polemiche

Non è una novità il fatto che Siena rappresenti una location ideale per qualsiasi set cinematografico. Parla la storia, e racconta che da Piazza del Campo, dal Duomo e da tanti altri angoli caratteristici, così come dalle tradizioni cittadine, sono stati rapiti gli sguardi di registi famosi, italiani e non: ultimo esempio quello di Cosima Spender e del suo lungometraggio “Palio”, ma andando a ritroso si possono citare “La città ideale” di Luigi Lo Cascio (2012), l’episodio di 007 “Quantum of solace” affidato nel 2008 a Marc Foster e ancora “Piazza delle cinque lune” di Renzo Martinelli (2003), “Con gli occhi chiusi” di Francesca Archibugi (1994), “Al lupo al lupo” di Carlo Verdone (1992) e, sconfinando ulteriormente nel passato, “La ragazza del Palio” di Luigi Zampa (1957). Oltre ovviamente a “Palio”, girato nel 1932 da Alessandro Blasetti.

BOLLINO ROSSO - Assai meno noto, magari anche sottaciuto, il fatto che i vicoli, le piazze, i palazzi ed addirittura le basiliche della città del Palio siano stati teatro di una commedia sexy all’italiana. Un genere assai in voga negli anni Settanta ed al quale, nel tempo, sono stati appiccicati il bollino rosso e l’aggettivo “trash”, soffermandosi molto sull’involucro (scene piccanti, nudi femminili, equivoci e battute magari di bassa lega) non sempre sulla valenza artistica di certi suoi interpreti, fra i migliori Renzo Montagnani, Mario Carotenuto, Lando Buzzanca, Lino Banfi o Carlo Giuffré. Proprio quest’ultimo, pupillo in gioventù di Eduardo De Filippo e oggi quasi novantenne, era il protagonista di “Quel movimento che mi piace tanto”, pellicola che il regista senese Franco Rossetti ambientò nel 1975 sulla pietra serena senese, giocando sin dal titolo sul doppio senso erotico/politico che ne caratterizzava la trama.

VOLTAFACCIA - Giuffré interpretava il deputato Fabrizio Siniscalchi, parlamentare moderato che per ragioni di opportunismo politico e su consiglio del fratello Salvatore (Enzo Cannavale, altro “big” della commedia italiana) era sul punto di cambiare radicalmente appartenenza e “buttarsi a sinistra”: un copione ben contestualizzato nello scenario che, siamo alla vigilia del voto del 1976, teorizzava il sorpasso del Pci ai danni della Dc, e che si snodava attraverso tutta una serie di cambiamenti, voltafaccia e rinunce, iniziando col recidere la storia d’amore clandestina fra Siniscalchi e la nobildonna senese Livia Bonoli Serpieri, interpretata da Martine Brochard. La ripicca di quest’ultima, grazie all’intercessione del marchese fiorentino Cecco Ottobuoni, nei cui panni figurava il grande Renzo Montagnani, provocherà di lì a poco uno scandalo dietro l’altro, con l’obiettivo di mandare in frantumi la reputazione del deputato, spinto fra le braccia della giovane e avvenente, ma anche chiacchierata, Anna (Cinzia Monreale): paradossalmente, però, i due convoleranno a nozze, un beffardo lieto fine che si celebrerà, e si girerà, all’interno della chiesa senese della Santissima Trinità. L’oratorio cioè della Contrada del Valdimontone.

PALIO & PALPEGGIAMENTI - Sulle note di una colonna sonora scritta da Manuel De Sica, il primo ciak di “Quel movimento che mi piace tanto” poco aveva da invidiare al tipico documentario sulle bellezze di Siena. Panoramica sui tetti, sui campanili e sulle torri cittadine, oggi si parlerebbe di skyline, e poi veduta, da Piazza del Duomo, della facciata gotica della Cattedrale: non esisteva il Consorzio per la Tutela del Palio, a metà degli anni Settanta, che oggi forse avrebbe bloccato la serie di insert (tutti girati dalle stanze di Palazzo Sansedoni) sul corteo storico, sulla mossa e sul primo giro del Palio del 17 agosto 1975, utilizzati per creare suspense nel bel mezzo di una serie di palpeggiamenti fra Giuffré e la Brochard, con una crescente passione che, mentre si vede il Montone scappar via sotto la spinta di Canapino e Rimini (ma quel Palio lo vincerà la Chiocciola, con Aceto e Panezio), giunge al culmine con in sottofondo, inequivocabile, lo scoppio del mortaretto di…fine corsa.

SAN DOMENICO HOT - Incontri amorosi e accoppiamenti si susseguono esilaranti, tipico di ogni commedia sexy, ma di pari passo non cessa il leit motiv delle vedute senesi. Si scorge una Porta Romana bellissima nel suo essere completamente libera dal traffico (in compenso le auto abbondano nei pressi del Duomo), c’è ancora Piazza del Campo e c’è l’interno del Palazzo Comunale (davanti all’Affresco del Buongoverno, Giuffré si lascia scappare un doppio senso non gradevolissimo ma che rientra nel tenore del film), in via del Poggio si ambienta un tentato scippo in motorino, i protagonisti passeggiano lungo la Galluzza, dentro il Castellare, in via Cecco Angiolieri. Si tocca pure il cortile dell’Accademia Chigiana prima di arrivare al momento più sconvolgente della pellicola, quello in cui la Monreale viene sbirciata sotto la gonna nell’atto di arrampicarsi sopra il pilastro adiacente la Cappella di Santa Caterina ed accendere una candela: pur in piena epoca di liberazione sessuale, i dettagli di quella scena non erano stati anticipati dalla troupe a chi le aveva aperto le porte della basilica di San Domenico e scatenarono momenti di tensione, risentimento e polemiche, senza peraltro che questo intralciasse più di tanto il risultato finale.

DOPPIA VERSIONE - Alcuni di quei frames, ed altri assai più spinti girati all’interno di alcove ricostruite dentro ville e palazzi storici cittadini (narra la leggenda di rimostranze abbastanza pesanti da parte dei proprietari, famiglie senesi particolarmente in vista tra l’altro, una volta compresa la piega che prendevano le riprese) furono infatti tagliati nel montaggio destinato alla versione italiana del film ma rimasero intatti in quella distribuita all’estero, oggi tranquillamente rintracciabile su piattaforme di video-sharing. Per completare questo “tour scollacciato” della città, Cinzia Monreale, sempre lei, si ritroverà con il seno scoperto anche appoggiata alle pareti di Fontebranda, oggetto delle carezze e dei baci appassionati di Giuffré, cullati entrambi dal rumore delle acque dell’antica fonte medievale.

LA “PRIMA” DI VERDONE - Nella scena in cui Giuffré e Cannavale si concedono un caffè appoggiati al bancone della Conca d’Oro (gli arredi e le vetrine della storica caffetteria di Banchi di Sopra sono un tuffo al cuore per chi ha superato gli –anta), tra gli avventori si scorge il volto, giovanissimo, di Carlo Verdone. Una fugace apparizione per l’allora poco più che ventenne aspirante attore, che era stato chiamato da Franco Rossetti (amico di vecchia data del babbo Mario) per farsi le ossa come assistente alla regia: guadagnava settanta mila lire a settimana, Verdone, in una condizione psicologica di imbarazzo continuo (lui stesso lo ha candidamente ammesso più volte, nelle interviste che ripercorrevano i suoi esordi col mondo de cinema), costretto com’era a suggerire le battute agli attori mentre questi recitavano, nudi come mamma li aveva fatti, ad appena una manciata di centimetri di distanza dal suo copione.

SENESI SUL SET - Un piccolo ruolo in “Quel movimento che mi piace tanto” lo aveva il bravo Paolo Lombardi, allora poco più che trentenne, divenuto negli anni a venire interprete e soprattutto doppiatore fra i più richiesti. La schiera di facce note in città era comunque nutrita: fra gli altri Tambus, al secolo Bruno Tanganelli, con un cammeo che inframezza la suddetta scena ambientata in Fontebranda e che lo vede interpretare un voyeur visibilmente ubriaco, ma anche Germano Mazzini (civettino purosangue, proprietario del non più esistente albergo La Toscana e, per hobby, telecronista su Televideosiena delle partite della Mens Sana), riconoscibile sia nella scena girata dentro la biblioteca degli Intronati, sia in quella conclusiva del ballo che si tiene all’interno della Sala degli Specchi, dentro l’Accademia dei Rozzi.  

IL REGISTA - Nato a Siena il primo ottobre 1930, montonaiolo, una laurea in legge chiusa nel cassetto a favore della passione per la cinepresa, Franco Rossetti è stato sceneggiatore di “spaghetti western” di successo (il più celebre dei quali “Django”, interpretato nel 1966 da Franco Nero), oltre ad aver collaborato, sotto lo pseudonimo Fred Gardner, alla stesura di “Zabriskie point”, firmato nel 1970 da Michelangelo Antonioni. Il suo esordio come regista nel 1967, dirigendo “El desperado”, poi il giallo “Delitto al circolo del tennis” (dall’omonimo racconto di Moravia) e a seguire una serie di commedie sexy, un paio delle quali autoprodotte e ambientate in luoghi per lui certamente familiari. Sì, perché prima di “Quel movimento che mi piace tanto”, nel 1972 Rossetti aveva girato alcuni ciak di “Una cavalla tutta nuda” (film appartenente al filone cosiddetto decamerotico, creato anni prima da Pier Paolo Pasolini) a Poggibonsi, Chiusdino, San Gimignano, Monteriggioni e, ovviamente, Siena. Anche “Una cavalla tutta nuda” si può comodamente rivedere su youtube. Non c’è traccia, nelle scene senesi, delle curve di Barbara Bouchet, ma l’arrivo a cavallo nel Vicolo dei Percennesi dell’immancabile Renzo Montagnani e di Don Backy, ed il dialogo che i due hanno sulla scalinata dei Servi, con alle spalle l’inconfondibile profilo della città, sono vere e proprie chicche. A prescindere dal contesto che le caratterizza.

Matteo Tasso

 

 

 

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