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GLI ESAMI DI MATURITA' SONO SEMPRE LONTANO DA CASA

News inserita il 24-11-2014

Il calendario gioca strani scherzi alla Gecom capolista: nel girone di andata otto trasferte e soli cinque turni al PalaEstra

Altro giro, altra trasferta. Sabato prossimo tocca a Pavia, una piazza che non incrociamo da una ventina di anni (che duelli col bombardiere brasiliano Oscar Schmidt!!) e che rappresenterà l’ennesimo step di crescita per la Mens Sana, prima in classifica anche dopo la giornata numero nove del campionato cadetto. Gli esami di maturità, in questa prima parte della stagione, Davide Parente e compagni devono sostenerli tutti quanti lontano dalle mura amiche e con un ritmo che definire sostenuto è poco: quella sul campo dell’Edimes sarà infatti la partita numero sei lontano dal PalaEstra ed al giro di boa si arriverà dopo otto trasferte e sole cinque partite casalinghe. Se non è un record (il fallimento degli ex parenti dell’Affrico, ha scombussolato il calendario un po’ a tutti), è quantomeno un’anomalia: nel girone di ritorno la strada sarà pure in discesa, vero, ma intanto al girone di ritorno manca ancora più di un mese.

Il perché del 36° posto Usciti col fiatone, ma anche con i due punti, da una partita che ci ha regalato la più pantagruelica fra le abbuffate di difesa a zona, al sottoscritto ed al preparatissimo Andrea Zanotti (colui che mi supporta, e soprattutto sopporta, durante le telecronache della beneamata) è venuta spontanea l’ennesima riflessione sui mali del basket italiano. A darci uno spunto, ciò che durante Mens Sana-Valsesia hanno fatto vedere due figli degli anni Novanta, il nostro Paolo Paci (classe 1990) e Michael Sacchettini (addirittura 1995): non stiamo parlando di fenomeni in grado di spostare gli equilibri in Eurolega, ma per centimetri, fisico e soprattutto tecnica (andarsi a rivedere la velocità di piedi del biancoverde o la posizione sui blocchi del centro in forza alla Gessi) meriterebbero una chance in tutte quelle squadre di A2 che, invece, regalano spazio e soldi a stranieri o comunitari, molti dei quali di dubbie capacità. Chissà quanti altri Paci, o Sacchettini, vedremo da qui a fine stagione. E chissà quante altre volte dovremo metterci l’animo in pace nell’osservare il tristissimo 36° posto appiccicato alle prestazioni del basket italiano, nel ranking mondiale Fiba.

Dalla scure alla pialla Domenica 28 dicembre, repetita iuvant, la Gecom giocherà a Livorno. O, forse, sarebbe meglio scrivere che la Gecom dovrebbe giocare a Livorno. Il vecchio palazzetto dell’Ardenza, quello che vide le gesta della Libertas e della Pielle, con Abdul Jeelani e Sandro Fantozzi da una parte, Giovannino Diana e Raphael Addison dall’altra, lo stesso in cui Andrea Forti infilò il canestro/non canestro più famoso nella storia del basket italiano, ultimamente non se la passa affatto bene: vittima di infiltrazioni praticamente ad ogni acquazzone, domenica scorsa il PalaMacchia si è ritrovato a fare i conti con un vistoso rigonfiamento sul parquet che ha consigliato gli arbitri di sospendere il derby fra i locali e Cecina per non incidere sulla sicurezza degli atleti. Al match Don Bosco-Mens Sana mancano trentaquattro giorni, basteranno per aggiustare il parquet e renderlo nuovamente praticabile? Dopo la scure sulle trasferte dei tifosi biancoverdi, sulla costa labronica è arrivato il momento della pialla per i listoni dell’impianto di via Allende.

Emi non mollare Ho conosciuto Emiliano tanti anni fa. Eravamo agli albori dell’era Lombardi, nell’epoca del ritorno in massa su quei gradoni che per diversi anni si erano riempiti sempre e solo di polvere (non credete troppo alla storiella dello zoccolo duro: nei primi tre anni di quella serie B, sfondammo il muro dei duemila spettatori non più di tre o quattro volte, playoff contro Sassari compresi), di una tifoseria che di lì a poco avrebbe vissuto un ricambio generazionale affatto semplice, con lui sempre in prima fila. Emiliano girava l’Italia dietro lo striscione del Gruppo Brasato: col biancoverde addosso sette giorni su sette, abbiamo vissuto insieme centinaia di domeniche, vissuto gioie e dolori (sportivi, ovviamente), inventato cori, studiato coreografie, sciarpe, magliette, magari anche commesso qualche stupidaggine (chi non ne fa, a vent’anni?) che poi cercavamo di giustificare con la troppa passione per la Mens Sana. I casi della vita hanno portato Emiliano lontano da Siena, e dall’Italia, diverso tempo fa. Quella stessa vita che, adesso, gli riserva giornate nerissime: non mollare Emi, proprio come domenica stava scritto sullo striscione della nord!!

Matteo Tasso

(foto Mens Sana 1871)

 

 

 

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